Don Giovanni cosmopolita

/ 19.02.2018
di Bruno Gambarotta

In una antologia di strabiliante e godibile erudizione, pubblicata dall’editore Aragno, Guido Davico Bonino ci conduce Sulle orme di don Giovanni, passando in rassegna 49 interpretazioni del grande seduttore, dal 1625 al 1936. Inizia con lo spagnolo Tirso de Molina, (L’ingannatore di Siviglia) e termina con lo scrittore magiaro Ödön von Horváth (Don Giovanni ritorna dalla guerra). L’autore non può spingersi oltre a causa della legge sui diritti d’autore che diventano di pubblico dominio solo 70 anni dopo la morte dello scrittore. Sono rappresentati, in libretti d’opera, commedie, drammi, poemi, racconti, canovacci, dei don Giovanni francesi, fiorentini, napoletani, romani, inglesi, veneziani, tedeschi, russi. Siamo certi, conoscendolo da decenni, che Guido Davico Bonino li ha scovati tutti: ebbene, manca alla conta un don Giovanni torinese.

Non c’è. Come mai? Si tratta di un profilo lontano dallo stile di vita dei torinesi, discreti, riservati, sempre paurosi di disturbare, ma la spiegazione non è del tutto soddisfacente, tanto più che nel dialetto esistono almeno un paio di vocaboli per designarlo, «Sfojor», che il dizionario di Sant’Albino traduce con «ganzo, damo, cicisbeo, amante», e «viveur», derivato dal francese, nel significato di «vitaiolo, gaudente». Per andare a fondo e sciogliere l’enigma ho dovuto intervistare l’unico che conosco, anche se da molti anni non esercita più l’arte della seduzione a causa dell’età, 83 anni portati benissimo.

È stato il mio primo capo reparto quando a vent’anni lavoravo in una tipografia. Lo ricordavo come un gran ballerino che inanellava una conquista dopo l’altra. Ha accettato di ricevermi a condizione di restare anonimo, non vuole riaprire ferite nel cuore di antiche fiamme, nel caso qualcuna sia ancora in vita. Lo chiamerò Filippo. Vive da solo in un appartamento ordinatissimo, dopo che 20 anni fa la moglie ha chiesto la separazione. L’abito mentale del vecchio tipografo, allergico ai refusi, non l’ha abbandonato. Mi riceve in salotto e, dopo avermi costretto a bere con lui un vermut, si alza, canterellando l’aria dall’opera di Mozart Madamina il catalogo è questo va nello studio e ne torna portando diversi registri di grande formato. «Non ho mai avuto un Leporello, ho fatto tutto da solo», aggiunge. Apre un registro: «Ecco qui le mie conquiste, in ordine di apparizione». Accanto a ogni nome, un fitto reticolo di appunti. «Sono le tue considerazioni?». «No. Accanto a ogni nome mettevo la provenienza, mai corteggiare di seguito due signore abitanti nel medesimo quartiere, per evitare che parlando scoprano di frequentare lo stesso cavaliere. Fatta la conoscenza con una candidata per prima cosa redigevo uno studio di fattibilità. Se stimavo che la conquista avrebbe impegnato troppo tempo o troppo denaro lasciavo perdere. Qui ci sono solo quelle che hanno superato l’esame, accanto al nome ho incollato gli scontrini delle spese affrontate, regali, fiori e soprattutto cene, per evitare di tornare nello stesso ristorante con una compagna diversa e subire l’ammicco complice dello chef. Scrivevo anche il mio profilo, cambiato ogni volta. Non ho mai detto la verità, che facevo il tipografo, ma sempre lavori che giustificassero le mie momentanee assenze, dal rappresentante di commercio, all’investigatore privato, al perito del tribunale».

«Il don Giovanni di Mozart è perseguitato dalle amanti sedotte e abbandonate. Tu come facevi per congedare una fiamma?» Filippo sorride: «Ho letto che i giovani adesso si lasciano con un sms. Noi avevamo solo i telefoni fissi, con il vantaggio di non dover essere sempre reperibili. E due grandi fortune, sale da ballo in ogni quartiere e la mancanza della legge sul divorzio. Le nostre prede erano le signore malmaritate in cerca di una distrazione momentanea che desse loro la forza di sopportare un marito noioso e tirare avanti. Ho sempre seguito l’esempio del nostro grande Vittorio Alfieri che per tutta la vita prima di corteggiare una donna si accertava che fosse sposata». «Non hai risposto alla mia domanda sulla tecnica del congedo». «È semplice. Facevo una proposta choc: molliamo tutto e scappiamo. Non è mai successo che una mi dicesse di sì e scoprisse il mio bluff. Le mie conquiste torinesi amavano l’avventura purché fosse a dosi omeopatiche. Si lamentavano dello squallore della vita che erano costrette a condurre, ma non avevano il coraggio di sottrarsi al mesto trantran quotidiano»

«La tua arma di seduzione?» «Una sola: starle ad ascoltare. Voi credete che per sedurre una donna sia necessario inondarla di parole, fare la ruota, esibire i trofei. Al contrario, dato il la con una frase iniziale è sufficiente lasciare che si sfoghi. Tutto qui». Ecco il motivo per cui il dongiovanni in versione subalpina non ha mai ispirato scrittori o drammaturghi. Adesso che ci penso: dalla raccolta manca un don Giovanni svizzero. Qualcuno sa spiegarne il motivo?