La commessa – ci conosciamo da anni – allunga lo scontrino, il buono omaggio-capestro (uno sconto solo se ti presenti domani, e solo domani, in questo negozio, e solo questo, e compri almeno molti euro di spesa). Mi strizza l’occhio mentre mi consegna i bollini, me ne regala sempre uno in più. I bollini, eterna perversione delle casalinghe. Ogni tanto l’ennesimo tagliere, o la quarta paletta per le torte, o i sei bicchieri che mai si accompagneranno a quelli che fanno già il loro dovere sulla nostra tavola, insomma ogni tanto questi oggetti turbano un po’ la parte maschile della vita. Pazienza. Col mio bottino, soddisfatta perché come una citrulla ho l’impressione di essere venuta non a spendere, ma a ricevere regali (così ogni volta, da sempre), sto per andarmene. Pssst! Mi richiama la cassiera amica. Mi avvicino, mi piego verso di lei, cosa mai vorrà confidarmi, non siamo mai arrivate alla conversazione con la folla che c’è. «Questo è uno sconto», sussurra infilando il biglietto piegato nella mia mano avida. «Uno sconto per» si guarda intorno, abbassa la voce «per la carne». Silenzio. «Se spende 10 euro, gliene rendono 9,81». Continuo a tacere, anche lei si insospettisce. Nove e ottantuno per dieci di spesa? Diciannove centesimi per dieci euro di carne?
Beh, è andata proprio così. A Milano mangiare carne è un’azione poco praticata, di dubbio gusto ma soprattutto eticamente molto molto scorretta. Così la cassiera mi consegna l’incredibile sconto del novantotto per cento come se mi stesse mettendo in mano un gioiello rubato, una dose di droga, insomma qualcosa di cui avere un po’ vergogna. Si espone in effetti al rischio che il cliente opponga un gran rifiuto, magari a voce alta, ma come si permette lei, prendermi per uno che mangia carne, un assassino, un cannibale, mica siamo tutti come lei. In verità io ne mangio pochissima, non tanto per virtù, quanto perché non mi piace, e a volte mi fa impressione (per esempio l’estate scorsa a Firenze che i nostri amici hanno servito una roba che sembrava una composizione di Damien Hirst e invece erano fiorentine alte una spanna che avevano visto il fuoco solo di passaggio). Certo, se mi fosse proposta sempre ben cotta, ben condita, morbida, credo che mi farei meno problemi, lo confesso.
D’altra parte non è che tutti i filosofi abbiano preteso l’astensione dalle carni, con certezza si sa di Pitagora – di cui peraltro non sappiamo nulla con certezza, perché su di lui abbiamo solo moltissime «Vite» leggendarie, potrebbe anche non essere mai esistito ed essere il nome di un gruppo di filosofi e matematici, fondatori di una scuola esoterica ma volta all’attività politica. Infatti la scuola di Crotone fu bruciata dai cittadini che mal sopportavano le ingerenze di questi strani asceti nelle loro beghe. Si dice anche che Pitagora avesse ingiunto ai discepoli di non mangiare le fave. Chissà perché, si colgono e si mangiano senza versare sangue, ma dicono che il filosofo sapesse che sarebbe morto in un campo di fave, quindi non voleva averne intorno. Fu scappando dall’incendio che, corri corri, si ritrovò in una coltivazione del micidiale legume, dove i crotonesi lo raggiunsero e uccisero. Leggende, appunto. Le religioni invece hanno sempre regolamentato l’assunzione di carne. Per il cristianesimo era proibita di venerdì, giorno della Passione, poi in tutta la Quaresima e in Avvento. Così è ancora in alcune comunità ortodosse, nonché nelle regole di alcuni ordini religiosi, mentre nel nostro mondo secolarizzato le indicazioni ecclesiastiche chiedono l’astensione dalle carni solo nei venerdì di Quaresima, per il resto Carne-vale. Le regole dell’ebraismo sono severe, riguardano sia la modalità di macellazione, sia l’obbligo di non usare le stesse pentole, posate, stoviglie per preparare e servire la carne e latte e suoi derivati, che non vanno mai mescolati assieme.
Si possono mangiare solo alcuni animali (sì la mucca no il maiale, sì la giraffa no il cavallo, le differenze sono negli zoccoli e nel ruminare). La macellazione degli animali poi deve avvenire con un taglio netto che provochi dissanguamento, secondo un rituale che se non seguito alla perfezione rende la carne impura, quindi non mangiabile, così come un qualche difetto o malattia scoperto dopo la morte della bestiola. L’Islam ha mutuato dalla Torah le modalità di macellazione, con alcuni piccoli cambiamenti nel rito. Guardo il biglietto con lo sconto «segreto»: riuscirò a consumare 10 euro di carne, se pur proveniente da macelli «gentili», sia perché non religiosi, sia per come gentilmente stordiscono l’animale che terrorizzato intuisce la fine vicina? Non so. Detesto le regole «inutili», no a questo no a quello, ma detesto anche la sofferenza inutile: perché la simpatica – e ben senziente – mucca deve essere cosciente fino all’ultimo e morire lentamente? Forse c’era un motivo anche igienico per operare in questo modo, nel secondo millennio avanti Cristo. Ma adesso?