Dieci anni senza il segreto bancario

/ 29.04.2019
di Angelo Rossi

Sono trascorsi dieci anni da quando, il 13 marzo 2009 per l’esattezza, il consigliere federale Merz annunciò ufficialmente che la Svizzera accettava lo standard dell’OCSE in relazione all’aiuto amministrativo in questioni fiscali. In altre parole il governo svizzero si impegnava a trasmettere alle autorità fiscali straniere informazioni relative ad eventuali depositi di loro contribuenti in banche svizzere. Fino ad allora, e per anni, la Svizzera si era rifiutata di seguire questa prassi, facendo valere che il diritto svizzero distingueva tra evasione e frode fiscale e che di conseguenza informazioni ad autorità fiscali straniere poteva essere concesso solo in caso di provata frode. Accettando di trasmettere informazioni sui clienti stranieri delle nostre banche il Consiglio federale decretava la fine del segreto bancario che durava praticamente dagli anni Trenta del secolo scorso e aveva largamente contribuito, occorre riconoscerlo, allo sviluppo delle piazze finanziarie elvetiche, non da ultimo di quella ticinese.

Forse qualche lettore si ricorderà che, alcune settimane prima di questo annuncio, l’UBS, che allora si trovava in cattive acque, dando seguito a una ingiunzione della FINMA, aveva trasmesso alle autorità fiscali degli Stati Uniti informazioni su 300 dossier di clienti senza attendere che fosse terminato il procedimento per la richiesta di aiuto. Lo aveva fatto per evitare di essere coinvolta, negli Stati Uniti, in un processo che avrebbe potuto mettere a rischio la sua sopravvivenza. Due anni dopo il Tribunale federale decideva che sull’ingiunzione della FINMA non c’era proprio niente da eccepire rovesciando la decisione del Tribunale amministrativo federale che invece aveva sostenuto che la FINMA non aveva le competenze per prendere una simile decisione. Era la fine del segreto bancario.

È noto come la situazione si sia poi sviluppata con la cosiddetta strategia del «denaro pulito» fino all’introduzione, con il primo gennaio 2017, delle norme giuridiche per lo scambio automatico di informazioni con le autorità fiscali straniere. Un tabù che sembrava intoccabile è così caduto per la pressione esercitata sulla Svizzera dagli Stati Uniti e dall’OCSE. Non sono mancate naturalmente le critiche contro queste decisioni. Più d’uno, e non soltanto nel mondo della finanza, ha sostenuto che le autorità svizzere avrebbero dovuto dimostrare maggiore resistenza contro le pressioni internazionali. Dall’altra parte c’era però il rischio di finire sulla lista nera dei paradisi fiscali dell’OCSE e di incorrere così nelle sanzioni previste per chi non rispetta gli standard fiscali stabiliti da questa organizzazione. La fine del segreto bancario ha avuto conseguenze negative sullo sviluppo delle banche elvetiche. I capitali di clienti esteri sono diminuiti e diminuito è pure il contributo che le banche davano al valore aggiunto dell’economia elvetica. Per fortuna le banche sono riuscite a attutire il colpo sviluppando le attività con la clientela svizzera.

La scomparsa del segreto bancario ha poi accelerato un processo di ristrutturazione del settore che si era avviato già da qualche anno. Così sono andati persi migliaia di posti di lavoro e si è manifestata una significativa erosione nei margini di guadagno. Due altri aspetti vengono citati in relazione con la strategia cosiddetta del «denaro pulito». Da un lato le banche devono spendere somme significative per controllare che il denaro che viene depositato sia stato legalmente dichiarato. D’altra parte si afferma che il denaro pulito sia molto più mobile di quello che, prima, era coperto dal segreto bancario. Insomma le banche svizzere sono oggi obbligate ad agire in un quadro legislativo che rende loro più difficile conseguire dei guadagni sostanziosi. Un’ultima osservazione per quanto riguarda il Ticino. La riduzione della quota di valore aggiunto consentita dalle banche ha indotto in Ticino anche una diminuzione della produttività aggregata. È come se il motore dell’economia ticinese si fosse inceppato. Ma i lettori non si spaventino: sopravviveremo anche alla fine del segreto bancario.