Diabolico «ménage à trois»

/ 20.05.2019
di Ovidio Biffi

La Ssr, e di riflesso anche la Rsi, quasi certamente si troverà esclusa dalle trasmissioni in diretta della finale della Champions League calcistica. Dopo i pasti saltati (il martedì no e il mercoledì sì, il Liverpool no, l’Ajax sì), arriva il digiuno (il termine più appropriato sarebbe... «coitus interruptus»). Proviamo a indovinare da cosa trae origine questa «rinuncia», iniziando dai costi, cioè dalla conferma che in Svizzera, come per tante altre cose importate, dalle auto e dalle medicine sino alle mortadelle e ai giornali, ora c’è la doppia gabella da pagare anche sul calcio estero.

Swisscom, che ha acquisito i diritti di trasmettere i maggiori avvenimenti sportivi, cedendoli in parte alla Ssr e diffondendoli via web in «streaming» attraverso il suo Teleclub a pagamento, ha deciso di alzare l’asticella per la finale di CL di Madrid. Così quel che il 1. giugno potremo avere «in chiaro» su schermi e iPad grazie alla Rai, oppure da qualche tv germanica o francese, verosimilmente non verrà trasmesso con il logo della Ssr o della Rsi. Questo perchè alla Swisscom, dimenticando di essere un’impresa parastatale (ricordiamolo: il 51% delle sue azioni è nelle mani della Confederazione e il 39% è posseduto da istituzioni), hanno deciso di fare più soldi. Qualcosa di simile in Ticino l’avevamo già vissuto con la vicenda dei derby di disco su ghiaccio, aggiudicati a Teleticino dopo un’analoga doppia scrematura tentata da chi ha in mano i diritti televisivi (in quel caso, se non altro, si trattava di un provider privato). La nuova mossa ai danni della Ssr ha tutta l’aria di segnare una sorta di involuzione in campo mediatico, con i gestori di segnali televisivi e di reti digitali decisi a tornare a essere comprimari nel «gran bazar» dell’informazione. Chissà se ora la Ssr contabilizzerà la mancata uscita per la finale di Madrid tra i sospesi attivi o tra le perdite impreviste... Me lo sono chiesto pensando non tanto al franchetto quotidiano che ogni cittadino deve obbligatoriamente versare alla Ssr – Rsi, ma piuttosto a certi slogan sfoderati per «salvare la Ssr», tipo il «se votate l’iniziativa No Billag dovrete dire addio ad avvenimenti sportivi come la F1 e la Champions League».

Lasciamo il «fattore tv» e allarghiamo il discorso al «ménage à trois» che, oltre alla televisione, coinvolge anche sport e sponsoring. A combinare e a tener unita l’unione c’è soprattutto il denaro, ma ovviamente anche i momenti spettacolari dei grandi appuntamenti contribuiscono a trainare gli entusiasmi degli sportivi e le scelte del pubblico televisivo, ad aumentare l’interesse per lo sport e gli avvenimenti legati a titoli olimpici, continentali o mondiali con una dimensione mediatica planetaria. In Europa però, e sempre più anche in altri continenti, è il calcio a garantire al citato «ménage à trois» un crescendo mediatico, economico e sociale che non accenna a diminuire. Per seguire questo trend negli ultimi anni le partite sono state spettacolarizzate (più tecnologia, più arbitri) e sono state favorite scelte bizzarre (si pensi ai mondiali programmati in Qatar e in pieno inverno) suscitando scandali e sospetti imbarazzanti. Eppure a produrre indignazione e denunce sono praticamente solo le cifre dei costi di gestione dei grandi club, dei trasferimenti dei loro calciatori o degli emolumenti che staccano le «vedettes». Stranamente le critiche non scalfiscono mai i movimenti miliardari delle associazioni mantello (dalla Fifa all’Uefa, dalle varie federazioni nazionali alle grandi manifestazioni mondiali o intercontinentali), dei diritti televisivi e commerciali che ruotano attorno al gioco del calcio. In fin dei conti sono proprio queste dimensioni «intoccabili» a impedire che anche la nostra televisione pubblica (come altre con un’utenza decisamente trascurabile) abbia accesso all’epilogo di competizioni seguite per mesi e mesi. È il bello del marketing, bellezza! Capita perché il binomio sponsor – pubblicità è in grado di dettare direttive in seno al «ménage à trois» e di favorire una mondializzazione che elimina controlli e confini.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le federazioni e i club (a parte una decina di «eletti», cioè alla élite del calcio inglese, tedesco e spagnolo, in gran parte governati da magnati arabi e russi) sono sempre più impotenti, prigionieri di bilanci ormai miliardari che possono fallire per un unico risultato negativo sul campo o dall’umore dei proprietari. E visto che Fifa e Uefa spingono per ingigantire ancora di più lo spettacolo (mondiali a 48 nazionali e una Super Champions con i 32 club più ricchi) vien da chiedersi se non sia giunto il momento di intervenire per fissare regole e limiti alle ingerenze del flusso finanziario di questo «ménage» sia nello sport che nelle televisioni.