Nelle ore che la scuola dedica all’educazione civica, lo studio della Costituzione occupa una posizione centrale. Questo perché nella carta fondamentale sono ancorati i princìpi che stanno alla base dell’ordinamento statale: la forma e i poteri dello Stato, le competenze delle autorità e dell’amministrazione, il catalogo delle libertà, i canali e gli strumenti di partecipazione, i diritti e i doveri del cittadino ecc. Già solo soffermandosi sul preambolo si capisce qual è il carattere di uno Stato, se repubblica o monarchia. Ogni Costituzione è espressione di una determinata comunità, ne raccoglie e ne condensa la storia, le peculiarità, l’indole; rappresenta il punto d’approdo (mai definitivo ma neppure facilmente revocabile) di un lungo cammino che spesso ha attraversato guerre civili.
Le Costituzione è dunque paragonabile al decalogo di Mosè, declinazione e reinterpretazione laica delle tavole della legge. Lo comprova il riferimento alla divinità quale fonte di legittimazione, presente in numerose Costituzioni. In quelle che la Svizzera si è data dal 1848 in poi, la divinità superiore prende il nome di «Dio onnipotente». Non però quella italiana, adottata nel 1948, che invece esclude Dio, pur ospitando sul suo territorio il Vaticano: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Fondare sul lavoro la «Grundnorm» non fu un atto stravagante, come può sembrare a prima vista, ma il risultato della lotta antifascista e delle tre grandi correnti ideali che avevano alimentato la Resistenza: quella cattolica-democratica, quella d’ispirazione marxista e quella liberaldemocratica.
Ma torniamo alla nostra Costituzione federale. Quella attualmente in vigore risale al 18 aprile 1999. Ha dunque vent’anni, ma nessuno se n’è accorto. La revisione totale del vecchio testo, risalente al 1874 e che già il giurista Max Imboden riteneva urgente negli anni 60 perché farraginoso, si è trascinata per anni, tra ritardi, rinvii e possibili abbandoni. A molti il risultato finale parve soltanto un semplice riordino, e non un rifacimento integrale. Nell’opera di riscrittura erano comunque confluite istanze importanti che non tutti gradirono, come la parità di diritti tra uomo e donna (con la relativa parità di salario), la protezione dei fanciulli e degli adolescenti, il diritto ad un’esistenza dignitosa, la libertà sindacale (compreso il diritto di sciopero, sia pure a determinate condizioni). Ancora una volta l’ethos della repubblica andava cercato nel preambolo, fonte ispiratrice e guida dell’intero impianto: la responsabilità verso le generazioni future e verso il creato (l’ambiente), la diversità come ricchezza (unità nella molteplicità), l’aiuto ai bisognosi e ai meno fortunati («la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri»), uno spirito di solidarietà e di apertura al mondo.
Il principio dell’«unità nella diversità» era stato ripreso nel 2003 anche nel trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa, poi bocciato da Francia e Paesi Bassi e quindi ritirato. Ecco il brano completo: «Certi che, “unita nella diversità”, l’Europa offre loro [ai popoli d’Europa] le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana». È certamente significativo che il dettato contempli pure la preoccupazione per il fardello destinato a ricadere sulle prossime generazioni e per le sorti dell’ambiente, temi oggi dibattuti ovunque nel mondo.
La nostra Costituzione federale non merita dunque l’oblio. È vero che le iniziative costituzionali approvate negli ultimi vent’anni dal popolo l’hanno resa meno asciutta e rigorosa di altre; è vero che le 26 Costituzioni cantonali che l’affiancano non agevolano il suo compito. Rimane comunque il faro che dev’essere, il fascio di luce in base al quale orientare la navigazione del nocchiere-legislatore.
Da ultimo una curiosità, anzi un primato: il Ticino fu il primo cantone della famiglia elvetica ad introdurre una Costituzione. Accadde nel 1830. Fu definito il «primo amore del popolo ticinese». Prevedeva disposizioni che allora parvero rivoluzionarie: l’obbligo per lo Stato di provvedere all’istruzione pubblica, la pubblicità dei conti della macchina statale, la libertà di stampa e il principio della libertà personale.