Di forte c’è solo l’aspettativa popolare

/ 18.06.2018
di Aldo Cazzullo

Sono convinto che questo governo difficilmente durerà a lungo. Ho sentito un autorevole esponente della maggioranza dire: «Il problema non è quel che costa la flat tax, ma quel che rientra. Mettiamo anche che costi 50 miliardi; saranno 50 miliardi in mano ai cittadini, che in qualche forma torneranno». Temo sia più facile finiscano in banca, magari all’estero, dove nei giorni della nascita del governo gialloverde di miliardi ne sono già transitati 38. Ma tanto la flat tax non ci sarà. Quel che gli italiani risparmieranno con le aliquote lo perderanno con le mancate detrazioni: il gettito fiscale dovrà restare lo stesso, a meno di non uscire dall’Europa. Se tutte le promesse del mitico Contratto dovessero essere mantenute, l’Italia si ritroverebbe fuori dall’euro, e senza piani B. Se non lo saranno – e non lo saranno –, il forte consenso iniziale diminuirà velocemente.

Non è un auspicio, è una previsione; ma questo governo è troppo improvvisato per durare a lungo. Non so chi lo farà cadere: se la speculazione internazionale e la Merkel come nel 2011; o Salvini, quando valuterà che rischia di restare sepolto dalle macerie politiche dell’esperimento bipopulista; o la spaccatura che si intravede nei grillini. Oggi gli scontenti esitano a uscire allo scoperto, nella speranza di un sottosegretariato o di una presidenza di commissione, ma non tutti potranno essere accontentati; né sarà contento Grillo, il fondatore, di vedersi trattato come il vecchio zio chiuso nello sgabuzzino delle scope.

Certo il governo non lo farà cadere l’opposizione, mai così debole e divisa. E certo dopo Conte non tornerà Gentiloni; anzi, al Pd farebbe bene un bel bagno di opposizione e di umiltà. Probabilmente ci sarà una vittoria del centrodestra, trainato da Salvini. Oppure una soluzione istituzionale (a fine 2019 finisce il mandato di Draghi). Sperando che nel frattempo non si siano prodotti danni irreparabili.

Ho seguito il discorso di insediamento al Senato di Giuseppe Conte, e sinceramente non ne ho tratto una grande impressione. L’avvocato degli italiani, come si è presentato, ha tenuto la sua prima arringa. Il linguaggio è appunto giuridico, un po’ da principe del foro un po’ da professore che dice «lessema» per «parola», e cita studiosi non notissimi introducendoli però agli studenti, «il filosofo Jonas», «il sociologo Beck». Conte ha tratteggiato se stesso come l’esecutore del Contratto, nuovo Graal della politica, stipulato dai suoi danti causa, Di Maio e Salvini. Ma è evidente che sarà anche altro, e per fortuna. Perché il contratto, così com’è scritto, è impossibile da realizzare: non ci sono i soldi per il reddito di cittadinanza, la flat tax e l’abbassamento dell’età pensionabile (e infatti il premier ha già iniziato a prendere tempo). E perché governare non significa solo attuare un programma, ma affrontare imprevisti, adeguarsi alle circostanze, confrontarsi con i partner stranieri e i mercati, e soprattutto interpretare l’opinione pubblica.

Sotto il profilo della sintonia con gli elettori, questo governo è il più forte degli ultimi anni. Poco importa che il suo capo e alcuni ministri importanti fossero fino a ieri sconosciuti. Di questi tempi, l’esiguità di esperienza (si vorrebbe dire di curriculum) non è considerata un limite, anzi può essere un vantaggio. L’aspettativa popolare per un cambiamento vero è grandissima. Il sostegno all’esecutivo nascente è ampio. I sondaggi sono unanimi, danno i Cinque Stelle sopra il 30 per cento e la Lega poco distante; ed entrambe le fazioni sentono questo governo come proprio. E Conte ha badato a non presentarsi come il rappresentante del movimento che l’ha scovato nella sua università fiorentina, ma a dar voce anche alle istanze leghiste, dalla legittima difesa alla linea dura sull’immigrazione.

Il livello del governo è basso, tranne alcune eccezioni: Giulia Bongiorno, un giovane avvocato che conosce bene la macchina dello Stato; Enzo Moavero Milanesi, al governo già con Monti e Letta. Gli altri sono spesso inesperti, talora improvvisati.

Resta una sensazione: solo un popolo profondamente disaffezionato alle istituzioni, animato da una grande sfiducia nello Stato e nella politica, può produrre una maggioranza parlamentare così. Non resta che augurarsi che il governo di cambiamento si riveli tale. E che non sia un cambiamento in peggio.