Ho ritrovato passione per la poesia. Chi mi è vicino dice che è un altro segno dell’invecchiamento, e che presto ci saranno le lacrime per qualche fuga di Bach o per i colori di Kandinski. Credo che proverei piacere, sperando che così, forse e finalmente, la mia anaffettività la finirà di condizionarmi nei comportamenti. Il ritorno alla poesia è iniziato la primavera scorsa, per colpa di una strenna della Mondadori: tutte le poesie di Raffaello Baldini, un autore considerato uno dei maggiori poeti del Novecento anche se raccontava la vita con versi in dialetto. Come segnala il collega Camillo Langone «scriveva nel dialetto di Santarcangelo di Romagna, non proprio un lasciapassare per la gloria mondiale (…) Ora che è facile farlo, grazie a questa versione autotradotta, che un amico lettore legga Dany e mi dica se anche a lui, come a me, è venuto da piangere». Su tutte la Dany, considerata una delle più belle poesie italiane sull’amore, racconta di un uomo sposato che si innamora teneramente di una ragazza più giovane, che ha timore a toccarla, che si incanta con lei e che la vede morire colpita da un male incurabile.
Oltre alla «strenna» cartacea, sul web ho scoperto diverse spiagge comode per notturne nuotate rigeneratrici nella poesia. Ho conosciuto ad esempio un blog molto particolare, forse perché gestito in maniera così invitante (le nuove tecnologie, come le arti tipografiche di una volta, hanno maestrie e ingegni) da convincermi a parlare del suo creatore: Alberto Cellotto, poeta e scrittore, ma anche pittore, e persino musicista. Vive in un paesino adagiato sulle rive del Piave, in provincia di Treviso. Cercando sue notizie ho trovato che professionalmente è responsabile della comunicazione per una azienda veneta di articoli sportivi (e questo mi ha fatto pensare a quanto sia difficile oggi vivere della sola attività intellettuale, con i giornali che chiudono, le riviste che scompaiono, gli editori che falliscono...).
Sul web ha inventato anche un bellissimo blogspot, «Librobreve», uno scrigno aperto a tutti con recensioni e contenuti letterari (in totale ha stilato o postato oltre 1200 contributi) riguardanti libri, scrittori, poeti, editori, letteratura ecc., ovviamente online. Purtroppo, di colpo, senza apparente motivazione, prima ancora che io potessi arrivare a leggere il suo primo romanzo (Abbiamo fatto una gran perdita, Oèdipus edizioni), Cellotto ha pubblicato questo avviso: «Sabato 20 ottobre 2018. Buongiorno, questo è l’ultimo post di «Librobreve»: un ringraziamento a chi l’ha letto» ecc. ecc.. Il giorno dopo mi arriva una sua rassicurazione: «librobreve.blogspot.com» rimane consultabile, ma sul web proseguirà solo con i tweet.
Cercando versi ho anche scoperto che Vladimir Nabokov, quand’era professore, parlava ai suoi studenti di «radiazioni della poesia». Ecco: le radiazioni le ho ritrovate fra le pagine di autori ticinesi, con le amate rane o le delicatissime sinopie dei nostri due Orelli, come pure con i corpi stellari di Fabio Pusterla. Le più intense mi sono però giunte con il dialetto del Mendrisiotto che Costante Mombelli usava per le sue composizioni. Manager dell’ex Pharmaton, Mombelli scriveva poesie che inviava («Cartulinn») a famigliari e amici a mo’ di saluti, auguri e pensieri. Le ho rilette con commozione, non solo perché lui non c’è più, ma anche per la serenità che trasmettono facendo rivivere luoghi di vacanza («Incöö sum chi sc-lungaa sü’n sügaman / a 900 chilometri da Lügan»), schietti saluti («Sicome sem scià a cürt da danee e anca da idei, / va spedissum sü i nost pensee e un mücc da salüt bei / cun ul mezzu püssee semplic e arcàich che ga sia, / cioè ’l camel – che chi ’l fa da posta e da feruvia!») o momenti di riflessione («Se vörat imparà cugnoss un pu ben la gent / piazzat visin a un büffé e stà attent. / Cun un zich da pazienza e da cuncentraziun / fet saltà fö, da ognun, i cunutaziun»). Sono gli incipit di tre poesie di un opuscolo «in copia numerata offerta con simpatia» da Costante Mombelli a chi, venticinque anni dopo, può ancora rinnovargli affetto e stima.
Infine c’è una strana pensata, anch’essa collegabile con la riscoperta della poesia. L’altra mattina, dopo che la sveglia (una di quelle che proiettano i numeri sul soffitto) mi aveva indicato prima le 4 e poi le 5, sono arrivato a immaginare una radiosveglia che, oltre a ore e minuti, proietti come «saluto» un verso o un aforisma. Ad esempio la stupenda conclusione della poesia Sugli angeli di Czeslaw Milosz: «È presto giorno / ancora uno / fa’ ciò che puoi». E sarebbe il massimo vederla attualizzata il 1. gennaio in questo modo: «È anno nuovo / ancora uno / fa’ ciò che puoi». Auguri.