Dem in cerca di unità

/ 02.03.2020
di Paola Peduzzi

I democratici americani sono riusciti a dividersi lungo la faglia più profonda delle sinistre occidentali: siamo abituati a sintetizzarla dicendo moderati di qui e radicali di là, ma in mezzo c’è davvero un abisso.

Bernie Sanders , senatore del Vermont che non è nemmeno iscritto al Partito democratico pur essendone il candidato di punta per le presidenziali del prossimo novembre, cerca il riscatto del 2016, convinto com’è – e come lo sono i suoi agguerritissimi sostenitori – che se fosse stato scelto allora alle primarie al posto di Hillary Clinton, oggi non ci ritroveremmo con Donald Trump alla Casa Bianca. Sanders è radicale, trascina a sinistra il partito e l’elettorato, al punto che l’establishment inorridisce: si tratta di uno snaturamento, dice, noi non siamo così.

«Socialismo» è la nuova parola-chiave, c’è chi la ripete come uno spauracchio e chi lo fa con ostentato orgoglio, come Alexandria Ocasio-Cortez, la star del Congresso che ha scelto Sanders come trampolino anche per la propria carriera, creando una coalizione tutta a sinistra che ora ha anche un Pac, un comitato politico, di riferimento: si chiama Courage to Change, lo ha lanciato la Ocasio-Cortez assieme a sette endorsement a sette candidate al Congresso (tutte donne), e all’annuncio di una duplice campagna che vuole remunerare il coraggio di chi già è deputato e di chi arriverà con il voto di novembre. Perché la rivoluzione radicale non si ferma a Sanders, anzi, Sanders è il punto di partenza.

L’establishment del Partito democratico non è riuscito a creare un antidoto a Sanders e alla sua dottrina: a dire la verità non ha creato un antidoto nemmeno a Trump, e la questione è tutta qui, nell’incapacità di trovare una sintesi adeguata della propria identità e contrapporla a un presidente come quello attuale che, pure lui, ha del tutto snaturato il suo Partito repubblicano. Di certo, non ci si aspettava un inizio tanto tentennante di Joe Biden, ex vicepresidente di Obama con un’immagine di uomo empatico e di buon senso, ma non c’è nemmeno stata sufficiente fiducia nel potenziale di Pete Buttigieg, sindaco di un paese dell’Indiana che è stato l’outsider di queste primarie ma non abbastanza per conquistarsi l’appoggio del partito. Che di fronte alla frammentazione ha iniziato a dire: non ci resta che Mike Bloomberg.

L’ex sindaco di New York è nato repubblicano, è diventato indipendente, ora è democratico e ha una capacità di spesa infinita. I suoi investimenti elettorali, anche se il suo primo appuntamento è per il 3 marzo al SuperTuesday (non ha partecipato agli appuntamenti precedenti), sono superiori rispetto a quelli di tutti gli altri candidati alle primarie, compreso Donald Trump. E naturalmente Bloomberg non deve chiedere finanziamenti a nessuno: attinge al proprio patrimonio, e pure se dovesse spendere due miliardi di dollari come si dice che possa fare, avrebbe messo a disposizione soltanto il 5 per cento delle sue disponibilità. Bloomberg ha deciso di utilizzare questa libertà finanziaria soprattutto sulla comunicazione digitale, con enorme creatività e brutalità: molti hanno notato i suoi meme ironici su Instagram e i suoi trollaggi su Twitter (soprattutto verso Trump) ma pochi si sono accorti che alcuni account legati al team elettorali di Bloomberg sono stati sospesi.

L’ex sindaco di New York – pareva impossibile – riesce a torcere le regole dei social media ancor più del presidente in carica. Ma Bloomberg gioca anche la carta dell’unità, che è la variabile davvero mancante di questa corsa democratica: se non dovessi essere prescelto, dice, aiuterò chiunque sia il candidato. E per «aiuterò» intende: metterò a disposizione la mia macchina elettorale munifica.

Sarà accettata la sua proposta? Si vedrà. Per ora i sandersiani sono occupati a rifiutare tutto il pacchetto Bloomberg che sa, secondo loro, di corruzione del denaro, di ambizione a comprarsi la volontà elettorale invece che di conquistarla con le idee. I sostenitori del senatore del Vermont sono molto rabbiosi, pensano che questa candidatura sia il risarcimento del danno subito nel 2016, vedono complotti ovunque, occhieggiano anche ai metodi da troll russi. E mentre ognuno combatte dal proprio angolo con le armi che ha, Sanders ha il suo popolo, Bloomberg ha il suo portafoglio, c’è chi ricorda: bisogna creare una grande coalizione progressista contro Trump, mettendo insieme le varie anime, altrimenti non c’è gara. Le proposte di unità sono in realtà una garanzia di sopravvivenza, a saperle cogliere.