Da quando c’è Stormy, Donald Trump è diventato un pochino più taciturno, non prende il megafono di Twitter per urlarci dentro qualche denuncia della caccia alle streghe che lo ossessiona, commenta ma senza andare troppo nel merito. Stormy Daniels è una attrice, regista, sceneggiatrice di film porno, bionda e prosperosa, che ha avuto un rapporto sessuale con l’allora tycoon Trump, nel 2006, e che poi avrebbe preso dei soldi per tacere sull’accaduto. Il «Wall Street Journal» ha rivelato qualche mese fa l’esistenza di questo assegno da 130 mila dollari, e da quel momento Stormy ha deciso di parlare e spiegare e definire bene i dettagli – ha anche restituito i soldi presi, dice, perché in quell’accordo c’era un errore formale (mancava la firma del diretto interessato: Trump), e perché evidentemente non sta affatto tacendo sull’accaduto.
Anzi, Stormy ha fatto un’intervista lunga alla Cbs, la settimana scorsa, in cui ha ripetuto cose che già aveva detto, i dettagli del suo incontro con Trump, appunto: lo sculacciamento con un magazine in cui in copertina c’erano i Trump, il sesso non protetto e nemmeno molto entusiasmante (ma non imposto), il futuro presidente in pigiama che guarda una trasmissione sugli squali (che lui odia e vorrebbe far scomparire dai mari di tutto il globo), le promesse di fare televisione, le telefonate successive all’unico incontro, i complimenti. Stormy ha però aggiunto un particolare che legalmente ha un rilievo decisivo: si è sentita minacciata, assieme alla figlia che allora era piccina, ha preso i soldi (pochi rispetto a quelli che avrebbe potuto negoziare o incassare vendendo la propria storia ai media) e si è molto spaventata.
Il suo avvocato, Michael Avenatti, che è un animale televisivo di quelli che, paradosso assoluto, piacciono tantissimo a Trump, continua anche a far intendere di avere delle prove decisive, del materiale fotografico o video si presume, che spazzerebbe via dal nostro immaginario la cura con cui si è custodito, tanti tanti anni fa, un vestito con le prove dei rapporti sessuali presidenziali. Non si sa se queste prove esistano davvero, Avenatti fa molto il bullo sul tema (non sfidatemi), ma intanto procede come un bulldozer sulla via legale: ha chiesto presso un tribunale californiano che Trump e il suo avvocato, Michael Cohen, il più esposto su questo versante, testimonino sotto giuramento sulla relazione con Stormy Daniels, che al momento Trump nega.
Trump non entra nel merito delle confessioni di Stormy per una serie di ragioni abbastanza chiare: ha una moglie, Melania, ce l’aveva anche quando i fatti sono accaduti, questi e altri che continuano a emergere, e la tensione in casa non dev’essere poca (ci ritroviamo a controllare quante volte la first lady si fa vedere, che cosa dice, se stringe la mano al presidente, se lo ignora: dei matrimoni si capisce sempre poco, figurarsi quando ci si deve accontentare della finzione pubblica). Poi ci sono gli aspetti legali, che sono complicati ma che si stanno intrecciando, tutti insieme, nell’ultima stagione del Trump Show, che riguarda il team di avvocati della Casa Bianca. L’avvicendamento di questi giorni di avvocati più o meno credibili, simpatici, competenti non rientra soltanto nell’ormai consolidata volubilità di Trump, che cambia collaboratori come noi cambiamo la canottiera, ma anche nella questione più grande: i guai giudiziari del presidente. Finanziamenti, Russiagate, conflitti di interesse, rapporti extramatrimoniali: ci sarebbe da dar lavoro a centinaia di persone.
Poi ci sono le donne, o meglio: il rapporto di Trump con le donne. La sensibilità su questo tema è molto alta: è acuita dal #metoo e dalle sue evoluzioni (c’è chi le chiama isterie) ma era grande anche prima. Poiché la candidata rivale del presidente nel 2016 era una donna, la prima donna ad ambire alla Casa Bianca della storia americana, il «femminismo» di Trump è già stato scandagliato, e scandito da quegli episodi celebri sulle chiacchiere da spogliatoio e dall’ossessione perversa che lui ha per sua figlia Ivanka (non c’è complimento migliore per una donna, secondo Trump, della somiglianza con sua figlia, si moltiplicano le dichiarazioni: «Mi ha detto che sono come Ivanka!»). L’immagine che ne esce non è particolarmente rassicurante, come è ovvio, ma ancora una volta stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti: ci sono le debolezze umane, ma contano soltanto quelle che hanno una rilevanza legale comprovata.