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Dalla parte dei figli

/ 09.10.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Buongiorno Signora Vegetti Finzi,
ho letto la lettera di quel padre di tre figli che non ha più rapporti con la figlia.
Le racconto la mia storia. Io ho due figli, uno di 16 e l’altro di 9 anni. Ebbene, mia mamma non ha mai voluto conoscere il secondo. Mi ha cresciuto il primo fino ai 7 anni, stravedeva per lui perché era il primo nipote. Da notare poi, che mia mamma non lo teneva gratis: le davo un mensile perché mi aveva detto che lei quando andava a fare spesa, la doveva pagare. Ok, non c’era problema. Poi, una sera di gennaio del 2008, io incinta alla fine del settimo mese, è successo il patatrac… abbiamo litigato, grazie anche a mia sorella, e i rapporti si sono interrotti. Piangendo avevo chiamato mio marito per spiegargli l’accaduto, lui era andato a casa di mia mamma e… apriti cielo… così, mio figlio dalla sera alla mattina, ha perso la nonna. Non le dico che momenti abbiamo passato! Come potevo dirgli che la nonna non lo voleva più vedere? Non aveva ancora 7 anni… tutte le volte dovevo inventare una scusa perché lui voleva andare dalla nonna. Io ammetto le mie colpe, so di aver sbagliato, avevo pure scritto una lettera a mia mamma e lei è andata di corsa a farla leggere a mia sorella… una lettere personale… ancora oggi comunque, mi chiedo una mamma e nonna, come ha potuto comportarsi così? Ce l’aveva con me, ok, ma il nipotino, che colpa aveva lui? Oggi sto bene ma ho sofferto tantissimo, e senza vergogna né rimorsi, a chi mi chiede di mia mamma, rispondo che per me che sia viva o morta è indifferente, non me ne importa! Ha fatto troppo male a mio figlio e io non perdono. Non so signora se leggerà la mia lettera o meno, a me fa fatto bene scriverla. / Mirella

Gentile signora Vegetti Finzi,
mia madre dice le stesse cose di quelle raccontate da un padre nella lettera del 3 luglio, «Legami interrotti». Sì, sono una fuggitiva. Me ne sono andata appena ho potuto dopo un’infanzia che è stata un calvario. Eppure la mia famiglia era normalissima (sic). Le assicuro che porto tantissime cicatrici di cui finalmente vado fiera, dopo aver passato i miei primi quarant’anni a vergognarmi. Per favore, parli anche di noi: non siamo mostri senza etica, siamo semplicemente dei sopravvissuti. / Tina

Care lettrici,
partiamo da una semplice constatazione: non tutte le mamme sono materne. Mentre gli animali sono guidati dall’istinto, per noi donne, nell’avventura di accogliere e crescere un figlio valgono piuttosto la storia di famiglia, il carattere, l’intelligenza, l’ambiente. Evidentemente le vostre madri non sono riuscite a essere all’altezza del compito che la vita ha loro assegnato. Difficile se non impossibile valutare il perché e il per come, dato che non ci sono regole: di fatto non ce l’hanno fatta.

Comprendo quanto il vostro dolore sia grande perché, come scrivevo nella risposta precedente, è stato anche il mio, «bambina senza stella». Ho conosciuto mia madre solo a cinque anni e tra noi non è mai scattata la scintilla che crea, tra madre e figlia, un rapporto speciale, un legame privilegiato, tanto che l’avevo definita una «non mamma» e penso che lei mi considerasse una «non figlia». 

Se ho raccontato fatti così privati è perché ho sentito il bisogno, come voi, di condividere una ingiustizia inaccettabile per comprenderla meglio e scioglierla in un abbraccio fraterno. Credo infatti che i figli non amati si riconoscano tra di loro e, da lontano o da vicino, si confortino reciprocamente. Mirella è stata respinta da grande e non è tanto per lei che si duole quanto per il figlio, troppo piccolo allora per comprendere il voltafaccia di una nonna di cui si considerava il prediletto. Le responsabilità per le sofferenze inflitte ai bambini non scadono mai. Se noi adulti possiamo avere qualche responsabilità nell’accaduto, loro risultano sempre vittime innocenti. Lei ha tentato di chiedere scusa ma la sua lettera è stata ignorata. Ha cercato qualche persona autorevole, che sia in grado di mediare? Se ha tentato invano, non le resta che voltare pagina e dirsi: «quel che è stato è stato. Andiamo avanti!». Ha una bella famiglia, un marito che le vuol bene e, in futuro, si troverà accanto le compagne che i suoi figli sceglieranno. A quel punto cerchi di non ripetere gli errori di sua madre, spezzi la coazione che ci induce a vivere attivamente quanto abbiamo vissuto passivamente e sarà una splendida suocera!

Diversa è la vicenda di Tina, una «figlia in fuga». Si fermi, Tina, la prego, si fermi a pensare. La madre, buona o cattiva che sia, fa parte della nostra storia e la sua figura abita la nostra mente, è dentro di noi. Rappacificarci con lei, perdonare il dolore che ci ha inflitto, significa far pace con noi stesse, recuperare la nostra serenità. Non le chiedo di amare una madre che non ha saputo farsi amare, ma di iscrivere il vostro rapporto nella sua storia e di dargli un senso.

Le parole possono essere un veleno o un farmaco, a seconda di come le usiamo. Mi sembra di capire che lei è ancora giovane e che ha la vita dinanzi a sé, mentre sua madre sta imboccando, per forza di cose, il viale del tramonto. Se riuscirà a provare per lei un sentimento di compassione troverà grazia in se stessa. La capacità di perdonare ci rende forti. In fondo la penitenza delle «non madri» sta in quello che hanno perso: la gioia di amare i propri figli.