Conta il sovrano o è sovrano il conto?

/ 20.11.2017
di Ovidio Biffi

Puntuale come una cometa, ecco l’annuncio autunnale della Banca nazionale attraversare i cieli di una congiuntura che per tutti i mortali prosegue tra sfumature di grigio e di nero. Ma se ovunque domina l’incertezza, a Berna i mulini macinano che è un piacere: oltre ai conti della Confederazione, sono in attivo anche quelli della nostra banca centrale che a fine settembre ha contabilizzato un utile di 33,7 miliardi di franchi. Dati e antefatti di questo risultato sono stati debitamente riferiti a inizio mese Ignazio Bonoli («Azione» no. 45). Mi azzardo a guardare la stessa cometa, con occhio profano e magari anche un po’ strabico rispetto a colleghi economisti ed esperti, per cercare riposta a una constatazione molto semplice: le preoccupazioni di chi, a inizio estate, lanciava allarmi su possibili «casse vuote», sono sparite; ora i timori riguardano gli attivi che stanno eccedendo e diventano imbarazzanti, tanto da suggerire questa domanda: conta ancora il sovrano o ormai è il conto a essere sovrano?

In giugno ad azionare i lampeggianti era stato il solito timore che Confederazione e Cantoni dovessero tenersi pronti a stringere ulteriormente la cinghia (anche se un accordo prevede ammortizzatori in caso di perdite). In meno di 100 giorni dal triplice rintocco della sinfonia nr. 5 di Beethoven per le paure di deficit pesanti si è passati all’«Esultate, jubilate» del mottetto di Mozart per la sorpresa di utili oltre ogni aspettativa. Un simile cambiamento di scenario (o il pericolo che in tre mesi si potrebbe ritornare a Beethoven...) avrebbe dovuto suggerire alla BNS di impegnarsi maggiormente a spiegare l’eccedenza del terzo trimestre. In effetti, perdendo peso contro le maggiori valute, il franco ha fatto scattare anche un aumento automatico del valore delle cospicue riserve della BNS. Il comunicato precisa che quelle in oro (si tenga ben presente: quantità invariata) si sono rivalutate di 2,3 miliardi di franchi. Lo stesso fenomeno ha «pompato» anche le posizioni in valuta estera, da cui è derivato un utile di 30,3 miliardi. Per questa voce la BNS si è limitata ad attribuire la metà circa di questo cambiamento a «un contesto borsistico favorevole», cioè ai circa 140 miliardi di franchi di investimenti in azioni estere che la piazzano, ad esempio, fra i grandi investitori delle quattro o cinque maggiori imprese statunitensi legate alle nuove tecnologie (Apple, Microsoft, Google e Amazon, tanto per non fare nomi). I silenzi e gli «omissis» su queste posizioni, la cui mole globale delle posizioni in valuta estera oltrepassa largamente i 700 miliardi (741,5 miliardi a fine ottobre, in aumento di oltre 96 miliardi da gennaio) ha riacceso le critiche di coloro che chiedono alla BNS maggiore trasparenza, anche per tenere sotto controllo scelte che non offrono garanzie sotto il profilo della sicurezza.

Lo sappiamo: in campo finanziario la discrezione è regola in ogni momento, sia con Beethoven che con Mozart. Inoltre ci si immagina sempre che, in parallelo alla crescita, ogni istituto provveda a potenziare anche controlli e garanzie sui rischi. Tuttavia, come scriveva recentemente un esperto come Stéphane Garelli, professore all’IMD Business School di Losanna, oggi davanti ai bilanci della BNS si ha sempre l’impressione che «in una simile oscurità anche una gatta perderebbe i suoi gattini, (…) Se il rigore, trattandosi di obbligazioni, è d’obbligo, ci sono comunque altre regole del gioco da rispettare: non ci si può rispondere sempre con un «circolate, non c’è niente da vedere»».

Il richiamo ad una maggiore trasparenza può forse sembrare un’inutile ossessione, ma la metafora di Garelli risulta molto calzante se riferita ai nuovi dati della BNS. Non occorre nemmeno rievocare i passi falsi degli anni Novanta – con i saliscendi dei tassi di interesse che avevano favorito la crisi immobiliare – per capire che certe cifre e tendenze non riguardano più solo la stabilità del franco: l’ingente tesoro che la BNS gestisce può influenzare pesantemente anche le politiche di Camere e Governo, quindi anche le sorti e le scelte del Paese. Per questo, davanti a fluttuazioni che coinvolgono tanti miliardi e potenzialmente possono minacciare anche il clima socio-economico, è opportuno che il cittadino sia informato e in grado di capire perlomeno cosa fa e cosa è diventata la BNS. Insomma: è ancora un istituto di emissione che difende la nostra valuta, funzionando da contrappeso per regolare l’orologio economico elvetico, oppure è un fondo sovrano autonomo che ha decuplicato il suo bilancio sull’arco di 10 anni? E se effettivamente agisce come un fondo sovrano, simile a quello del governo norvegese (che fra i cinque maggiori investimenti annovera partecipazioni in Nestlé, Roche e Novartis, mentre la BNS è obbligata per statuto a privilegiare la Silicon Valley), non è forse urgente che agisca con maggiore trasparenza?