Chi per informarsi sull’evoluzione della congiuntura economica scorre le pagine dei nostri quotidiani – di quelli ticinesi come pure di quelli della Svizzera tedesca – avrà notato che, nelle due regioni del paese, l’attenzione dei commentatori si concentra su aspetti diversi. Mentre in Ticino è l’occupazione e la sua evoluzione che praticamente monopolizza l’interesse dei giornalisti, nella Svizzera tedesca le analisi sulla crescita dell’economia si concentrano sulla lentezza con la quale si sviluppa la produttività per ora di lavoro. Di fatto, dietro a queste preferenze, stanno due concezioni diverse dello sviluppo. Per chi, nell’apprezzamento della congiuntura, dà la preferenza all’evoluzione dell’occupazione (e naturalmente anche della disoccupazione e dell’immigrazione di lavoratori) è più che evidente che l’economia non può crescere che aumentando il numero degli occupati. Questi commentatori considerano quindi l’aumento dell’occupazione sempre come un fatto positivo e soprattutto lo considerano tale se l’aumento dell’occupazione genera una diminuzione della disoccupazione, in particolare della disoccupazione dei residenti.
Anche ai nostri lettori non sarà sfuggito come i commentatori dei fatti economici dei giornali ticinesi abbiano, nel corso degli ultimi mesi, inneggiato non solo all’aumento dell’occupazione, ma anche al fatto che la stessa cresca più rapidamente in Ticino che altrove. Diverso è invece il ragionamento di chi si occupa della crescita dell’economia nazionale. Questi commentatori comparano spesso la crescita dell’economia svizzera con quella dell’economia europea e constatano che purtroppo, da qualche anno, anche nei confronti dell’Europa, il nostro sistema economico arranca. La spiegazione di questa differenza nel tasso di crescita è data dalla diversa evoluzione della produttività. In Svizzera la produzione per ora di lavoro cresce più lentamente che nella maggioranza delle economie dell’UE. Ora, siccome sia l’economia nazionale, sia quella del cantone dipendono largamente dall’esportazione (i lettori terranno presente, a questo proposito, che il turismo è anche, almeno per la metà dei suoi proventi, un’industria di esportazione), il fatto che la produttività ristagni è un problema che dovrebbe preoccupare di più anche il commentatore economico ticinese. Questo perché l’evoluzione della capacità concorrenziale di un sistema economico dipende strettamente dall’evoluzione della produttività per ora di lavoro. Per fare aumentare la produttività ci sono due possibilità: la prima è quella di far crescere, in modo più che proporzionale, l’occupazione nei rami nei quali la produttività è superiore alla media; la seconda è quella di ristrutturare i rami a bassa produttività, riducendo l’occupazione.
A livello dell’economia nazionale è quello che sembra stia avvenendo, in particolare attraverso la rilocalizzazione dei posti di lavoro, verso i paesi con livelli di salario basso, o anche – come si è potuto leggere in questi giorni in relazione a misure di rilocalizzazione prese dall’UBS – verso le regioni della Svizzera che hanno salari e affitti bassi. A livello ticinese sembra invece che l’economia si muova nella direzione contraria. Mentre i rami ad alta produttività (si pensi a quelli del settore finanziario per far un solo esempio) riducono il personale, quelli a produttività inferiore alla media (specie nel settore dei servizi) vedono i loro effettivi aumentare. Sono tendenze che dovrebbero preoccupare perché non basta constatare che l’occupazione aumenta, quando questo aumento di fatto non fa che frenare la ripresa della produttività. In una economia che funziona bene l’aumento dell’occupazione è sempre accompagnato da un aumento della produttività per ora di lavoro e da un aumento dei salari.
In Ticino prevale l’economia delle maquiladoras, le aziende possedute e controllate da capitalisti di fuori cantone che profittano di un salario inferiore alla media nazionale e, spesso, di condizioni fiscali migliori di quelle nei paesi in cui l’azienda madre ha la sua sede. Sono aziende che, siccome basano ancora la loro produzione sul lavoro poco remunerato, non devono preoccuparsi oltremodo di come avanza la loro produttività.