Conservatori, nonostante tutto

/ 16.09.2019
di Orazio Martinetti

Tra comizi, dibattiti, raduni e sollecitazioni via web, la Svizzera si appresta a rinnovare le Camere federali. I sondaggi prefigurano uno scenario sostanzialmente stabile, con variazioni minime, fatta eccezione per la progressione dei verdi, universalmente data per scontata, e per la flessione dei cristiani democratici. Nell’attuale panorama europeo, squassato da contrasti che paiono insanabili, da visioni antitetiche, da incertezze non solo economiche, il nostro paese si distingue per la saldezza del quadro istituzionale e per la prudenza delle scelte. In fondo il numero dei Consiglieri federali non è mai mutato: erano sette nel 1848, e sette sono rimasti fino ad oggi. I tentativi di allargare la compagine governativa per dare maggiore rappresentanza alle minoranze sono sempre naufragati.

Ci si può chiedere quale sia la fonte di questo conservatorismo, di questo pertinace attaccamento alla tradizione. Un atteggiamento, va detto, che ritroviamo anche là dove meno te lo aspetti, ossia nelle file della sinistra. A metà Ottocento la fazione più avanzata era quella radicale, eppure agli occhi di un profugo tedesco anche questo movimento appariva «erzkonservativ», ossa conservatore fino al midollo. Ma le cause erano remote: andavano individuate nel carattere rurale dei territori, nell’influenza delle due principali confessioni (la cattolica e la protestante) e nella difficoltà ad assimilare i princìpi della Rivoluzione francese. Un insieme di fattori rafforzato infine dalla consapevolezza di rappresentare in Europa un’eccezione, un ordinamento repubblicano circondato da monarchie ed aristocrazie di antico lignaggio.

I condizionamenti esterni svolsero una funzione decisiva anche nel corso del XX secolo. Già durante la Grande Guerra del 14-18 furono poste le basi per cementare l’unità interna, ritenendo esiziale per la sopravvivenza stessa della Confederazione l’ideologia marxista che faceva leva sulla lotta di classe. Sodalizi come la Nuova Società Elvetica perseguirono con determinazione l’esigenza di superare la visione classista della società. L’accusa di voler consegnare il paese nelle mani dei bolscevichi divenne corrente nella pubblicistica all’indomani dello sciopero generale del 1918.Negli anni 30, dopo l’ascesa di Hitler al potere, la politica imperniata sulla concordia e sulla collaborazione tra le parti sociali raccolse il consenso delle maggiori forze politiche, dalla socialdemocrazia al centro-destra. Da questa costellazione rimasero fuori le ali estreme, i frontisti filo-fascisti e i comunisti.

Uno dei momenti più alti della ritrovata armonia tra le classi sociali, tra il proletariato di fabbrica e i contadini, fu raggiunto e celebrato ottant’anni fa, in occasione dell’esposizione nazionale di Zurigo. Inaugurata il 6 maggio sotto un cielo di pace e chiusa il 29 ottobre nell’eco della guerra, la «Landi» riscosse un successo immenso: dieci milioni di visitatori per una manifestazione che si voleva ecumenica sul piano sociale e religioso, e granitica sui suoi capisaldi storici.

Ecco come il fondatore delle cooperative Migros Gottlieb Duttweiler compendiò lo spirito di quella impresa corale nel libro commemorativo Liberi e Svizzeri: «Tre alti valori abbiamo fatto risaltare con fierezza: l’unione delle diverse stirpi, la pace delle confessioni religiose e la concordia sociale. Noi ne siamo debitori in primo luogo alla grazia divina e quindi alla nostra sagacia». Seguiva una lunga galleria di immagini e di commenti illustranti le mille facce del paese, le sue componenti etniche, gli usi e costumi, le attività, il retaggio delle generazioni, l’incrollabile volontà di difesa con al centro il «federalismo vivente»: «La vita culturale propria dei Cantoni, l’autonomia dei Comuni, l’uomo lasciato al suo spirito d’iniziativa; ecco i fattori della forza vitale e di resistenza della plurisecolare Svizzera».

Affonda dunque in questo passato il conservatorismo elvetico. Certo, pochi amano dirsi tali, proclamarsi conservatori schietti e coerenti, tanto meno i partiti (ricordiamo che l’ultima formazione a definirsi tale, ossia il Partito cattolico-conservatore, cambiò nome nel 1971). E tuttavia spesso nasce il sospetto che il conservatorismo alligni un po’ ovunque, perfino nei gruppi più combattivi e moralmente intransigenti, e accompagni come un’ombra beffardamente sorridente gli appelli più infuocati.