Le previsioni delle ultime settimane non lasciano dubbi: a livello congiunturale stiamo vivendo un momento di inversione delle tendenze. Il Fondo monetario internazionale avverte che l’economia mondiale sta arrivando alla fine della sua lunga fase di crescita, iniziata più di 4 anni fa. Non solo, ma l’evoluzione futura potrebbe risentire anche del conflitto commerciale che si è aperto tra gli Stati Uniti e il resto del mondo per le misure protezionistiche adottate dall’amministrazione Trump. Per il momento l’FMI mantiene le sue previsioni per l’economia mondiale per il 2018 e per il 2019 al 3,9%. Anche Cina e Stati Uniti continueranno a godere di una congiuntura espansiva. In economie importanti come quella tedesca, quella francese, quella britannica, nonché nei due colossi economici che sono India e Giappone potrebbero invece manifestarsi tendenze alla recessione in seguito alla riduzione del volume degli scambi internazionali.
Attualmente si pensa che le perdite che il commercio internazionale subirà in seguito all’introduzione di nuovi dazi potrebbero far diminuire il tasso di crescita dell’economia mondiale, nel corso dei prossimi due anni, di un mezzo per cento. Come si è detto le ripercussioni non saranno lineari. Stando agli esperti del Fondo monetario esse saranno risentite maggiormente in Europa che, per esempio, in Cina. Per la Svizzera il quadro previsionale risulta alquanto contraddittorio. Da una parte i nostri istituti di previsione continuano, anche nelle previsioni di settembre e di ottobre, a rivedere verso l’alto il tasso di crescita del prodotto interno lordo. Le ultime revisioni hanno portato il tasso di crescita di questo aggregato per il 2018 dal 2,3 al 2,9%.
Come si può rilevare dalle stime del WIF, l’istituto di ricerche economiche del Politecnico federale di Zurigo, questo miglioramento è dovuto da un lato a un aumento del saldo degli scambi con l’estero e, dall’altro, a un aumento degli investimenti nelle costruzioni superiore al previsto. Dall’altra parte, le previsioni congiunturali per il 2019 anticipano in generale una riduzione del tasso di crescita a un valore oscillante tra l’1,7 e il 2%, di poco superiore a quelli realizzati dall’economia svizzera nel corso degli ultimi due anni. Se si va alla ricerca delle cause di questo colpo di freno si resta però insoddisfatti. Per non fare un discorso troppo lungo consideriamo un solo caso: le previsioni di inizio ottobre del WIF del Politecnico di Zurigo. Questo istituto prevede che, nel 2019, il Pil svizzero aumenterà solo dell’1,7%. Quando si considerano però i singoli aggregati che formano il Pil ci si accorge che gli investimenti aumenteranno del 2,4%,le esportazioni addirittura del 3,6% e i consumi privati dell’1,7%. Solo i consumi degli enti pubblici cresceranno, il prossimo anno, a un tasso dell’1,3%, inferiore a quello che sarà realizzato dal Pil, però comunque superiore al tasso di crescita dei consumi pubblici del 2018.
Da dove verrà allora il colpo di freno congiunturale? Stando al WIF dovrebbe venire dalla riduzione delle scorte, ossia della parte di produzione che non viene venduta. Nel 2019 non vi saranno aumenti delle scorte. Questo significa che gli imprenditori svizzeri nel 2019 cominceranno a giudicare il futuro in modo meno ottimistico di quanto non l’abbiano fatto nel 2018. Tuttavia bisogna stare attenti a non dare all’aggregato delle scorte troppo significato. Di fatto nelle stime della contabilità nazionale questo aggregato non corrisponde a una realtà rilevata, ma rappresenta un resto quando non addirittura un fattore di correzione di difficile interpretazione. Per avere un’idea più precisa del ruolo che potrebbe svolgere nelle previsioni congiunturali per il 2019 occorrerà quindi aspettare almeno la revisione delle previsioni di metà anno. Per il momento, tutto quello che si può dire, è che gli esperti delle previsioni avvertono che, per l’economia svizzera, l’orizzonte del 2019 non è più così limpido come quello di quest’anno.