Da più di 20 anni il Ticino possiede due istituti universitari di vaglia: l’USI e la SUPSI. In questo scorcio di tempo almeno 10’000 studenti hanno conseguito la loro laurea presso l’una o l’altra istituzione. Si tratta di un contingente elevato di persone specializzate, in larghissima parte di ticinesi, che stanno dando un contributo sicuramente di valore alle attività della nostra economia. Basterebbe questa riflessione per mettere in evidenza l’importanza del nostro polo universitario. È mia opinione che il suo contributo sia largamente riconosciuto dall’opinione pubblica ticinese.
C’è però chi la pensa diversamente. Per esempio il rettore dell’USI che, lo scorso anno, si è lamentato dell’insufficiente attenzione che la stessa presta al suo istituto. Il suo intervento aveva poi indotto Tito Tettamanti a promuovere, sul «Corriere del Ticino», un dibattito sull’università che si era presto arenato, giustificando così, almeno in parte, le preoccupazioni del rettore. Ma non si tratta certamente che di un’occasione perduta. L’università e il posto che le spetta all’interno delle istituzioni di questo paese è un tema che sarà sicuramente ripreso anche in futuro. Soprattutto se i mezzi per l’insegnamento e la ricerca dovessero diventare scarsi.
Cerchiamo per il momento di fare il punto sull’apporto dell’università alla regione dove è ubicata, aiutandoci anche con le molte pubblicazioni su questo tema che sono apparse nell’ultimo paio d’anni in Europa. I ricercatori che si sono occupati di questa questione convengono nel ritenere che il contributo di maggior valore sia certamente ancora quello che può dare la ricerca. È una conclusione che vale anche per il Ticino. E questo perché anche il nostro Cantone sta vivendo un momento di grande trasformazione. Nel giro di 10 anni, per effetto della digitalizzazione e della robotizzazione dei processi produttivi, spariranno dal nostro mercato del lavoro almeno due decine di migliaia di posti di lavoro che richiedono qualifiche tradizionali.
In che misura questi posti di lavoro potranno essere sostituiti e quali saranno le qualifiche professionali che richiederà l’economia ticinese del 2030, come e dove queste qualifiche potranno essere acquisite, questi sono alcuni dei temi sui quali dovrebbe concentrarsi la ricerca del polo universitario ticinese. Si tratterebbe di rivedere i curricoli di studio di USI e SUPSI, nonché le loro attività a livello di formazione permanente, per tener conto delle nuove esigenze dell’offerta di lavoro in una società digitalizzata e robotizzata. Non dimenticando naturalmente i temi dell’intelligenza artificiale, della trasformazione degli apparati produttivi e dell’organizzazione delle aziende che già ora vengono curati dalle ricerche di diversi istituti, in particolare della SUPSI.
Il secondo apporto importante del polo universitario, secondo gli studi a disposizione, è quello che potrebbero dare le reti di relazioni degli insegnanti insediati nella regione. Facciamo un esempio: il finanziamento delle attività di ricerca. Come si sa, nel corso degli ultimi 40 anni il finanziamento della ricerca universitaria in Europa è stato assunto, in misura sempre più importante, da istituzioni pubbliche, semi pubbliche e private (pensiamo alle fondazioni), di livello nazionale o, addirittura, europeo. Di conseguenza i contatti e le collaborazioni tra istituti di diverse regioni e di diverse nazioni si sono moltiplicati. In questa situazione è necessario che il polo universitario ticinese, ora che la prima generazione di insegnanti sta andando in pensione, si ricostituisca una sua posizione nei «network» di ricerca nazionale e internazionale. Ce la potrà fare però solo se i nuovi professori, capi-progetto e consulenti di ricerca, per non parlare dei ricercatori stessi, oltre ad esercitare la loro attività professionale in Ticino, sposeranno gli interessi del loro Cantone di residenza e delle università ticinesi.
Il terzo apporto è quello che segnalava già il Franscini, ossia, nella misura del possibile, quello di ottenere un saldo positivo nei flussi monetari concernenti la formazione universitaria, che traversano i confini del Cantone. È un aspetto che continua ad essere valido ma non deve essere l’unico ad essere preso in considerazione quando si tratterà di definire una strategia universitaria cantonale.