Felice Rossello, chiusa la sua stagione di autore televisivo, ne traccia un bilancio nel libro Il lato B della cultura: la TV, con prefazione di Fabio Fazio e postfazione di Bruno Voglino. È un testo dalle molte sfaccettature, autobiografiche, storiche e saggistiche sulla natura del mezzo televisivo. Un aspetto che attira la nostra attenzione è il racconto del gioco del caso che ha sempre un posto di primo piano nelle nostre vite, anche se siamo riluttanti a riconoscerlo. Felice Rossello è di Savona, città fucina di molti talenti televisivi; insegna latino e greco nel liceo classico Gabriello Chiabrera e dà lezioni private allo studente Fabio Fazio che manifesta un precoce talento come imitatore. Quando, dopo aver superato una selezione, è ingaggiato in questo ruolo nel programma Loretta Goggi in quiz, realizzato negli studi milanesi della Rai, propone al suo professore di aiutarlo a scrivere i testi e Felice, stimolato dalla curiosità, accetta.
È l’inizio di un lungo sodalizio che culminerà in un programma fortunato e per molti versi rivoluzionario, Quelli che il calcio…, ideato da Fabio Fazio, in diretta, sempre da Milano, prima su Rai 3 e poi su Rai 2. La novità, clamorosa, consiste nel fatto che a scandire i tempi della narrazione prevista dalla scaletta del programma (interviste, collegamenti esterni, scenette comiche, esibizioni di artisti) siano dei fatti esterni imprevedibili e casuali, cioè i goal che irrompono dalle cronache radiofoniche di Tutto il calcio minuto per minuto. Il grido «Goal!» in arrivo dagli stadi rompe e frantuma l’ordinato svolgersi del programma e introduce nello studio il vento della realtà esterna. L’altra dirompente novità consiste nell’ospitare in studio personaggi di varia natura, non per la loro competenza maturata in anni di applicazione, ma nella veste di tifosi di una squadra di calcio, dalla suora al chirurgo, al banchiere ed ex ministro, che diventano ben presto personaggi di un teatrino che si rinnova di settimana in settimana. Non era stato facile convincere Angelo Guglielmi, allora direttore di Rai 3, a varare il programma e nel farlo aveva dato un decisivo contributo Carlo Freccero, altro savonese illustre, attualmente consigliere d’amministrazione della Rai.
Va detto che, da buon ligure che non si monta la testa, Felice Rossello non ha mai smesso il suo lavoro di insegnante e l’impegno di allenatore della squadra di basket. Uno dei tanti riflessi del memoir di Rossello è il ritratto dell’autore dei testi di un programma televisivo di intrattenimento; chi è fuori da questo mondo immagina l’autore chino sulla tastiera del computer intento a scrivere un copione che consegnerà ai committenti del programma. Una volta approvato il testo, e nel caso apportate le modifiche richieste, il suo lavoro finiva lì. L’autore avrebbe visto la realizzazione del suo lavoro sul televisore di casa, come un qualunque spettatore. Un tempo era così, fino alla metà degli anni 70, quando la Rai operava in regime di monopolio e tutto quello che era destinato a essere letto o recitato davanti a una telecamera doveva prima essere scritto e approvato dagli addetti di un servizio che pudicamente era etichettato come «Segreteria tecnica» e di fatto svolgeva il ruolo di censura preventiva alle dirette dipendenze del direttore generale Ettore Bernabei, in un ufficio collocato non a caso al settimo piano di viale Mazzini, accanto a quello del direttore. Durante quel decennio lavoravo in quel palazzo, nella direzione della prima rete; d’accordo con i miei capi, andavo in vacanza nel mese di luglio e ad agosto restavo a presidiare i nostri uffici. Nel frattempo nel vicino Teatro delle Vittorie si registravano le puntate di Studio Uno, il varietà del sabato sera che sarebbe andato in onda nell’ultimo trimestre dell’anno per la regia di Antonello Falqui. Il copione di ogni puntata aveva le dimensioni di una guida telefonica. Nel caso in cui qualche scenetta comica avesse fatto riferimento anche alla lontana all’attualità politica, bisognava farla approvare e io avevo l’incarico di leggerla al telefono al direttore Bernabei in vacanza dalle parti di Orbetello per avere la sua approvazione. Dovevo chiamare dopo le sedici per non rovinare la siesta. Non è mai successo che Bernabei chiedesse di introdurre qualche modifica, segno che per gli autori l’autocensura funzionava egregiamente. Già trenta anni fa, il copione di Fantastico ’87, condotto da Adriano Celentano, consisteva in due fogli di carta A4, con l’elenco dei «numeri» previsti e della loro durata presunta. Per incassare i diritti Siae gli autori avevano affidato a una copisteria l’incarico di registrare ogni singola puntata del programma e di sbobinare il relativo testo scritto. Dovevano trascorrere anni prima che la Società degli Autori accettasse la registrazione.
Ora l’autore dei programmi di intrattenimento è uno che partecipa a tumultuose riunioni di redazione, sapendo che se propone un’idea è poi incaricato di realizzarla, accompagna in trasferta le troupe, pronto a introdurre modifiche al volo, sosta in studio dietro alle telecamere, con fogli di cartone e pennarelli, per mandare messaggi al conduttore, suggerendo domande, segnalando i tempi per non sforare. La sua ricchezza è l’agenda con i numeri di telefono segreti per raggiungere le personalità da invitare in trasmissione. Con tutto ciò, il suo resta uno dei più bei lavori del mondo.