Classe media sotto pressione

/ 10.04.2017
di Angelo Rossi

Ogni epoca della nostra storia ha la sua classe sociale di riferimento. Limitandoci alle esperienze più recenti possiamo affermare che, nel corso dei «trenta anni gloriosi anni» che hanno seguito la seconda guerra mondiale, la classe di riferimento era di sicuro quella operaia. Era il periodo dapprima della ricostruzione e poi di vari miracoli economici che hanno fatto aumentare rapidamente il benessere in tutti paesi dell’Europa occidentale. 

In quegli anni la crescita economica era sostenuta dall’espansione del settore industriale, in particolare del settore chimico e del metalmeccanico. I lavoratori del settore industriale che, da sempre, hanno rappresentato il fulcro della classe operaia, erano al centro dell’attenzione. Come al centro dell’attenzione era il conflitto tra capitale e lavoro nella distribuzione del reddito prodotto: da un lato la classe operaia, dall’altro quella dei capitalisti. 

È in questi decenni che poté nascere e svilupparsi, grazie alla rapida crescita dell’economia e grazie all’azione dei partiti operai e dei sindacati, lo stato sociale. Le trasformazioni del tessuto economico e del modo di operare dell’economia, che si sono succedute a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo, hanno spedito la classe operaia in Paradiso per riprendere il titolo del famoso film di Elio Petri. 

L’epoca più recente, quella che ha fatto seguito alla grossa recessione della metà degli anni Settanta dello scorso secolo, è un’epoca, tutto sommato, di stagnazione economica che vede la società divisa in tre classi. I poveri, la classe media e i ricchi. L’attenzione di politici e ricercatori si è portata sulla classe media, nella quale, attualmente, si trova la quota maggiore della popolazione. Aiutandosi con limiti di reddito forse un po’ ampi, il nostro Ufficio federale di statistica calcola che gli effettivi della classe media rappresentano in Svizzera il 60% della popolazione. Ma le tendenze di sviluppo in atto sembrano minacciare la sopravvivenza di questa classe. In particolare, per non citare che quella attualmente più discussa, la digitalizzazione dei processi produttivi e delle attività del settore dei servizi. 

Da quasi tre decenni, la digitalizzazione ha indotto una trasformazione radicale nel mondo del lavoro. Molte attività lavorative sono scomparse, altre sono state esportate in paesi con livelli salariali più bassi. A far paura alla classe media, però, più dell’evoluzione conosciuta sin qui sono i futuri sviluppi della digitalizzazione, quelli per intendersi che vengono designati con la sigla 4.0 per indicare che si tratta della quarta rivoluzione industriale. Questi sviluppi potrebbero portare alla dissoluzione della classe media e al ritorno di un mondo del lavoro diviso in due classi. Da una parte la classe delle persone ben remunerate con alte qualifiche e, dall’altra, quella dei non qualificati o dei tecnologicamente ridondanti, condannati a svolgere attività mal remunerate o, addirittura, ad essere esclusi dal mondo del lavoro. 

Partendo da considerazioni di questo tipo sul futuro della digitalizzazione, si è sviluppato, nel corso degli ultimi anni, anche un secondo dibattito: quello sull’evoluzione dell’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. Sono molte le pubblicazioni che trattano di questo tema da quando Thomas Piketty ha pubblicato il suo libro sul capitale nel Ventunesimo secolo. Stando alle stesse, nel mondo digitalizzato i poveri diventerebbero sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, mentre la classe media si dissolverebbe, con l’impoverimento della parte maggiore del suo effettivo. 

Sono molti i casi che si possono citare per confermare questa tesi, non però quello della Svizzera. Come abbiamo già ricordato più volte, nei passati anni, in Svizzera la tendenza alla crescita dell’ineguaglianza sociale non si è ancora manifestata e la quota della classe media nella distribuzione del reddito resta stabile, nonostante il forte incremento di popolazione registrato in questi ultimi due decenni. Ma, come dimostrano, anno per anno, le statistiche, questa stabilità viene assicurata solo dalla politica di redistribuzione del reddito da parte dello Stato. Se dovessimo togliere i contributi dello Stato al reddito delle famiglie, l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito sarebbe in aumento anche da noi. 

In altre parole, le tendenze in atto nel mondo della produzione inducono anche in Svizzera un rafforzamento dell’ineguaglianza sociale che, per fortuna viene frenato e, per il momento ancora, addirittura annullato, dalla politica di redistribuzione del reddito praticata dallo Stato con la tassazione progressiva del reddito e con le prestazioni delle assicurazioni sociali. Mentre, per il momento, possiamo compiacerci di questa situazione di stallo, non possiamo farci illusioni per il futuro. La tendenza alla crescita della quota di popolazione con più di 65 anni e la necessità di garantire l’equilibrio delle finanze pubbliche obbligheranno a riformare le istituzioni dello stato sociale. Se non troviamo, a livello politico, compromessi efficaci, nel corso dei prossimi decenni, l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito ricomincerà ad aumentare anche da noi.