Carissima Silvia,
alla soglia dei miei 50 anni mi sento un po’ delusa, come se la vita mi avesse sempre dato e poi tolto; incomincio a tirare le somme di ciò che ho costruito o piuttosto «distrutto». Due matrimoni falliti, una figlia meravigliosa di 17 anni avuta dal primo marito, poi con il secondo matrimonio volevamo un figlio, che non è mai arrivato. E, poiché per mio marito era importante avere un figlio suo, ci siamo lasciati. Eravamo sposati da 10 anni, e ora stiamo divorziando. La cosa che mi fa più male è che, involontariamente, ho fatto soffrire mia figlia. Parlando con lei, ho percepito che le sarebbe piaciuto avere una sorellina o fratellino. Ho capito dalle sue emozioni che il padre le è mancato (lui vive in un altro cantone dove si è rifatto una famiglia), anche se sostiene di no! Quando ci siamo lasciati aveva 2 anni, siamo rimasti in buoni rapporti, ogni tanto si telefonano e si vedono una volta all’anno. Mi ritrovo a pensare: ma se avessi fatto, ma se fossi stata… e così, mi ritrovo stanca, stanca di non aver fatto le scelte giuste, e forse a pagarne è stata proprio mia figlia, e questo mi fa molto male! La saluto con affetto / Marisa
Cara Marisa,
il suo affetto è ricambiato perché la fiducia che lei manifesta nei miei confronti mi commuove e mi impegna. Lei sta attraversando un periodo della vita straordinariamente intenso perché, a cinquant’anni, si allontanano gli anni della giovinezza matura e si apprestano quelli della maturità avanzata. Questo snodo ci induce a tratteggiare bilanci e, come sanno gli psicoanalisti, abbiamo tutti la tendenza a sopravvalutare le ombre a scapito delle luci o, in altri termini, a vedere il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno.
Lei definisce « falliti» i suoi due matrimoni ma, prima di concludersi, devono essere stati contratti e, quando ci si sposa, lo si fa sempre di fronte a un orizzonte positivo, animato dalla fiducia e dalla speranza. Dal primo matrimonio è nata una figlia «meravigliosa», un dono della vita da non sottovalutare, soprattutto in tempi così conflittuali quando, tra genitori e figli, vige spesso una tensione sotterranea che ostacola la comunicazione e inaridisce l’affettività. Ora lei si rammarica di non averle dato un fratellino o una sorellina, ma non mi sembra sia stata una decisione quanto, piuttosto, una impossibilità. Una seconda gravidanza non è sopraggiunta nonostante, mi sembra di capire, lei l’abbia desiderata e cercata. Dov’è la colpa? La nostra cultura pecca spesso di onnipotenza mentre, di fronte a certe imposizioni del destino, non resta che accettare gli eventi con umiltà. Non tutto quanto accade dipende da noi, dalla nostra volontà, molto ci sfugge e resta segreto. Dispiace inoltre che il desiderio di sua figlia sia rimasto inappagato, ma nessuno ottiene tutto quello che vorrebbe e, spesso, le carenze costituiscono il motore della vita. Probabilmente ciò che le è mancato come figlia lo otterrà come madre perché, come sono solita sostenere, ci è sempre concesso un «secondo tempo». Per un paradosso dell’amore, ciò che non ci è stato dato si può ottenere offrendolo agli altri.
Peccato invece che il rapporto tra il padre e la bambina sia stato ridotto ai minimi termini. Incontrarsi una volta all’anno non consente un vero e proprio legame filiale.
Ho riscontrato spesso questo rammarico nelle confidenze di donne che erano cresciute senza aver accanto una figura paterna. Nel libro Quando i genitori si separano: le emozioni dei figli, Oscar Mondadori, una racconta che, mentre si recava all’altare al braccio dello zio, si è voltata indietro cercando ancora una volta suo padre e l’altra che, dopo la nascita del primo figlio, ha atteso assurdamente che, come nonno, si facesse vivo. Lo dico non per rimproverarla (ognuno fa quello che può) ma per sensibilizzare chi sta per separarsi e, stanco di trattare con l’ex coniuge, preferisce pensare che i figli stiano bene così, accanto a un solo genitore. Perciò, se possibile, convinca sua figlia a riallacciare i rapporti col padre. Spesso il tempo è un buon consigliere e permette di recuperare quanto la vita aveva disperso.
Anche per il suo secondo matrimonio valgono le considerazioni precedenti: non a tutti capita di incontrare un nuovo partner e di poter iniziare una nuova narrazione di sé, della propria vita. Come diceva Pablo Neruda, voltandosi indietro: «in fondo ho vissuto». Mi fanno molto più pena le esistenze vuote, le identità senza racconto, le occasioni mancate: meglio avere rimorsi che rimpianti. La vita umana si è fatta così lunga che, a cinquant’anni, resta ancora molta strada da fare. Purché non si continui a inciampare nei «se»: se avessi fatto, se fossi stata, se… Quello che è stato è stato; ma il futuro è una pagina bianca ed è su quella che lei può ricominciare a scrivere, ancora una volta, il suo romanzo familiare, trovando parole nuove perché il tempo scorre e non ci è mai concesso, come sapevano gli antichi, bagnarci due volte nella sua acqua.
Cara Marisa, grazie di essere entrata nella «stanza del dialogo», dove trova tutta la nostra comprensione. Possiamo comprenderci in quanto ogni vita è unica, diversa da le altre ma, alla fine, tutte si assomigliano. Come scrive il grande psicoanalista Donald Winnicott: «Non dobbiamo pensare che la natura umana sia cambiata. Dobbiamo piuttosto cercare l’eterno nell’effimero».