Per gli Stati Uniti, la più grande minaccia non viene più dal terrorismo islamico ma dalla concorrenza di Cina e Russia. Così la vede il Pentagono (come ci spiega Lucio Caracciolo a pagina 17), così appare agli occhi di molti osservatori, essendo palesi gli sforzi di Cina e Russia di essere più presenti sul parquet geostrategico. Significa che non è più tempo di occuparsi troppo di esaltati martiri di un nichilismo islamico, poiché i cinesi ci stanno fregando sul nostro stesso terreno, quello del capitalismo.
E i russi? Anche Putin non scherza, per il suo essere minaccioso in modo asimettrico: sai che potrebbe farti roteare in aria soltanto a stringergli la mano. Tuttavia, un giorno Putin non ci sarà più, e già oggi la Russia è un gigante dai piedi di argilla che maschera solo a fatica il suo declino demografico con l’immigrazione (da regioni islamiche), mentre non può più celare il declino della sua industria. La vera sfida geopolitica è data dalla Cina. Ed è una sfida a 360 gradi.
Con l’irrompere sulla scena mondiale del modello cinese – un’autocrazia fondata su un assolutismo comunista che ha abbracciato un capitalismo senza troppe regole – attraente per i successi economici che ottiene, il modello occidentale di un capitalismo che può fiorire solo in un contesto democratico e liberale riscuote meno consensi. Secondo un’ inchiesta del Pew Research Center, la democrazia e la classica separazione dei poteri stanno perdendo attrattiva in tutto il mondo. Dal canto suo, come si può leggere sul «New York Times» (7.2.2018), un’indagine svolta in 28 nazioni dalla Edelman communications mette in risalto che nel 2017 la fiducia nel governo cinese è aumentata di 8 punti a 84 per cento, mentre la fiducia nelle istituzioni americane è collassata, diminuendo di 14 punti a 33 per cento. La sfida fra Occidente e Cina diventa dunque anche ideologica.
In un contesto del genere, in cui la maggior parte dei paesi asiatici conosce forme di governo più o meno autocratiche e autoritarie, Pechino trova meno avversari ideologici. E laddove potrebbe aspettarsi critiche pubbliche, come nei paesi occidentali, impiega diverse forme di pressione per soffocarle: se non basta il ricatto economico, fa sentire la sua voce (e valere le sue intimidazioni) attraverso associazioni cinesi nel frattempo sempre più infiltrate da persone vicine al potere cinese. In Australia, per esempio, è in corso un ampio dibattito su questo tema, considerato che il 4 per cento della popolazione ha radici cinesi: nella comunità cinese si fanno sentire pubblicamente proteste per le intimidazioni subite da chi si mostra critico verso Pechino. La Cina sta in effetti creando una vasta rete propagandistica (anche in Europa), con l’intenzione di sostenere ideologicamente la rinascita dell’Impero celeste.
La potenza economica unita alla pressione ideologica rende possibile alla Cina di imporsi oggi quasi ovunque. Il faraonico progetto «One belt, one road», l’ossatura della globalizzazione economica alla cinese, farà dei paesi che attraverserà dei vassalli sempre più dipendenti dai debiti contratti con Pechino per creare le infrastrutture volute dai cinesi (pure nell’Europa orientale i cinesi stanno trovando docili alleati). Non va poi dimenticato che la Cina è all’avanguardia nella digitalizzazione della società, come pure lo diverrà nelle energie rinnovabili, ciò che avrà un impatto anche su di noi.
Eppure, il modello cinese deve ancora superare la prova principe: in genere l’eccellenza nasce dalla creatività e questa dalla libertà di pensiero, la Cina dovrà invece dimostrare che a lungo andare l’evoluzione della società sia compatibile con un ferreo controllo statale.