Liberali e popolari democratici congiungeranno le liste per le Federali d’autunno. Così hanno deciso le rispettive direzioni, dopo «ampio e approfondito dibattito». Sorpresa, stupore? Sì e no. No, se l’operazione è da intendersi come risposta a quanto è già avvenuto sul fronte destro (Lega e Udc) e sul fronte sinistro (socialisti, verdi, comunisti) dello schieramento politico; sì, se la manovra prelude ad un abbraccio tra le due formazioni storiche in vista delle Cantonali del 2023.
Chi non conosce, o ha dimenticato, la storia di questi due partiti assumerà la suddetta decisione come una mossa tattica, una delle tante che i gruppi dirigenti escogitano per galvanizzare gli iscritti. Soprattutto le giovani generazioni fanno sempre più fatica a «scovare le differenze» tra gli uni e gli altri, come nei giochi della Settimana enigmistica. Non così la vecchia guardia formatasi nel secondo dopoguerra, nel clima infuocato di epiche battaglie e di contrasti anche personali, condotte sulle pagine del «Popolo e Libertà» e del «Dovere», i due quotidiani-bandiera. Erano, questi battibecchi, la coda di un furore polemico che aveva preso avvio intorno alla metà dell’Ottocento e che fino all’introduzione del sistema proporzionale, allo scorcio del secolo, aveva intossicato la vita politica del cantone. Numerosi gli episodi di violenza, dalle risse nei ritrovi pubblici alle fucilate tra le fazioni in lotta; grande scalpore suscitò nell’opinione pubblica nazionale la sparatoria di Stabio (1876), con morti e feriti. Dopo il 1890, l’anno dell’uccisione del Consigliere di Stato conservatore Luigi Rossi, lo scontro si fece meno aspro, ma non sul piano verbale. Durante il governo moderato del liberale Rinaldo Simen, tra Otto e Novecento, l’auspicata «pacificazione» tra i due partiti maggiori divenne motivo di scherno e di perfide ripicche. Scrivevano i conservatori: «Deponiamo gli odi e i dissensi, tendiamo la mano fraterna ai nostri avversari che sputacchieremo, schiacceremo come bestie immonde. Viva la conciliazione dei partiti e morte ai liberali-radicali. Deo gratias»; replicava la controparte: «Giù le armi! E botte da orbi ai conservatori democratici. Viva la pacificazione degli animi e dei partiti e sputi sulla faccia ai porci avversari».
Si dirà che tutto questo appartiene, per fortuna, al passato, al (rozzo) folclore locale: intemperanze destinate a rimanere negli archivi. Oggi le passioni si sono raffreddate. La fiamma del dibattito politico si è quasi spenta, solo i fedelissimi riescono ancora ad alimentarla aggrappandosi alla tradizione. I più smaliziati sostengono che sul lato pratico la collaborazione tra liberali e popolari è diventata prassi, e senza suscitare scandalo: due partiti collocati al centro intenti a rintuzzare il massimalismo delle ali estreme. Nella lontana Berna la necessità di costruire alleanze allo scopo di tutelare gli interessi del cantone ha costantemente la meglio sulle residue rivalità di partito.
Resta da capire in che misura la base accetterà questo «ragionar d’amore» sul terreno della «congiunzione tecnica», una manovra che a taluno ricorda le «convergenze parallele» di morotea memoria. A nostro parere, le divergenze non sono affatto scomparse, e riguardano sia la sfera economica, sia la sfera morale. Si pensi al ruolo dello Stato e del mercato, alle dispute intorno all’indirizzo laico e pubblico della scuola, alle contrapposizioni che ogni volta nascono sulle questioni sollevate dalla bioetica, dall’interruzione della gravidanza ai dilemmi legati al fine-vita, come il suicidio assistito. Non tutti intendono la laicità allo stesso modo; non tutti vedono di buon occhio l’intervento dell’amministrazione statale nel regolare i conflitti di lavoro, per esempio stabilendo un salario minimo.
C’è poi da considerare un altro dato: le divisioni non sono solo inter-partitiche (PPD-PLRT), ma anche intra-partitiche. Dentro i partiti medesimi convivono varie anime e correnti di pensiero. Nel PPD l’ala liberista deve fare i conti con il gruppo che si rifà all’insegnamento sociale della Chiesa e che ha nell’attuale Papa il suo punto di riferimento; il PLRT è storicamente e geneticamente doppio, liberale e radicale, seguaci di Hayek (liberismo) contro discepoli di Keynes (sostegno alla spesa pubblica). I primi guardano a destra, i secondi a sinistra.
Il passaggio dalla tattica (congiunzione delle liste) alla strategia (alleanza) non sarà automatico né incontestato. I fautori dell’operazione mirano a rafforzare il centro e a togliere ossigeno agli antagonisti di destra e di sinistra. Ma molti temono che soprattutto nei ranghi liberali possa farsi largo una ribellione silenziosa, uno scontento che potrebbe anche sfociare nell’astensionismo.