I ruoli si sono rovesciati: questa volta le vittime sono musulmani, il carnefice cristiano. Le vittime hanno come sempre storie umane fatte di speranze e di sogni, il carnefice un delirio mentale che esplode in un’orgia di violenza. In ossequio a questa epoca di auto-rappresentazione narcisistica, il giovane australiano che ha ucciso con un mitragliatore 50 persone in due moschee di Christchurch in Nuova Zelanda, ferito decine di altre e traumatizzato una nazione, ha ripreso e mostrato in diretta il massacro che ha compiuto.
Spero che non abbiate guardato il video immesso in facebook e youtube, per rispetto delle vittime di un atto brutale e vigliacco (come può sentirsi eroe una persona che si sente padrona della vita e della morte di chiunque solo perché ha in mano un’arma e la usa?), ma anche per una necessaria pulizia mentale: si può restare traumatizzati, anche inconsciamente, dalla visione di una violenza che si sa essere vera. Una pulizia mentale necessaria per mantenere uno sguardo umano sulla tragedia avvenuta. Come ha suggerito la premier neozelandese Jacinda Ardern, non pronunciate il nome dell’assassino, ricordate e pronunciate i nomi delle sue vittime. Leggete le loro storie, aggiungiamo, perché ci ricordano quanto di più umano condividono con noi e con tutte le vittime del terrorismo. Vedrete come le loro speranze, i loro sogni, la loro quotidianità, la fatalità che guida la vita di ogni essere è tanto simile alla nostra, a quella di tante altre persone nel mondo, islamico o cristiano che sia.
Eppure, un elemento balza all’occhio: se un attentato è compiuto da musulmani, da noi politici e giornalisti parlano di fondamentalismo islamico, quindi religioso, ora che l’assassino è un bianco cristiano si parla automaticamente di attentato a sfondo razzista, di estrema destra, quindi con una matrice politica. C’è un aspetto positivo e uno negativo in questo. Quello positivo è che istintivamente in Occidente non si ragiona più in termini di guerra di religione. L’aspetto negativo è che l’attentatore invece la viveva interiormente propria come una guerra di religione, contro i musulmani e in favore di una purezza cristiana, e che una parte del mondo musulmano lo interpreterà in questo modo. Di conseguenza avremo vendette in forma di strage, con altri innocenti a condividere sogni e destini brutali. Se persino il presidente turco Erdogan (alla vigilia di elezioni comunali della cui vittoria è tutt’altro che certo) si permette a un comizio di mostrare il video dell’attentatore per evocare una guerra religiosa da parte dell’Occidente, potete immaginarvi quale impatto la strage di Christchurch può avere nel mondo musulmano.
Che poi politici come Trump e Salvini relativizzino la pericolosità di un’estremismo di destra e continuino ad enfatizzare l’estremismo islamico (anche se le cifre dicono che negli Stati Uniti si muore più di suprematismo bianco che di fondamentalismo islamico), non aiuta a smorzare i toni e a disinnescare le bombe. Come non tranquillizza il fatto che nelle ore seguenti il duplice attentato, su Facebook il video del massacro sia stato caricato un milione e mezzo di volte. Con i filtri si è riusciti a bloccarne 1,2 milioni, ma trecentomila video sono circolati, sono stati visti, apprezzati, condivisi.
Onestamente: non ci ritroviamo oggi, ignari, nella posizione di quei musulmani che all’indomani dell’ennesima strage di matrice islamica dichiaravano «not in my name!», non in nome mio? Noi, parlando di estremismo razzista, eludiamo l’interrogativo se anche il cristianesimo, pur se in una sua qualche aberrazione, possa essere violento, pericoloso; se invece è al Qaeda o l’ISIS a uccidere, non pochi si chiedono se in fondo non è l’islam come religione ad avere innato il concetto di guerra santa, violenta. La strage di Christchurch può forse aiutarci a comprendere meglio, ad immedesimarci nei musulmani che tentano di farci capire che non c’è guerra di religione, solo un bieco estremismo.