Negli Stati Uniti c’è un libro che sta facendo molto discutere. Si tratta di Kids these Days: Human Capital and the Making of Millennials (I bambini al giorno d’oggi: capitale umano e la realizzazione dei Millennials). Un libro sui Millennials scritto da uno di loro, Malcolm Harris, giornalista per il magazine di cultura e politica online «The New Inquiry», attivista del movimento Occupy Wall Street. Del suo saggio qualcuno ha scritto che era ora che qualcuno lo scrivesse mentre in molti, dal «New Yorker» al «Financial Times» fino al «New York Times», concordano nel sottolinearne la rilevanza per l’argomento trattato, della serie, finalmente qualcuno ci racconta come sono, cosa vogliono, cosa pensano e come vivono questi Millennials. Grossolanamente vengono definiti dei narcisisti, ossessivi tecnologici che distruggono moltitudini di industrie e mercati come quello della birra, delle saponette e dei ristoranti. Per quanto riguarda la birra, le giovani generazioni preferiscono il vino e i super alcolici, alle saponette preferiscono il sapone liquido e per mangiare optano per la cucina a casa o la consegna del cibo a domicilio. Niente ristoranti o fast food.
Nulla si salva di fronte a questa frattura culturale e di consumi che in apparenza narra una storia precisa: i Millennials usano il potere crescente del mercato libero per imporre la loro verità. Ma non è così, dice Malcolm Harris. Se noi Millennials oggi siamo ciò che siamo non è per caso, siamo il prodotto delle scelte delle generazioni precedenti. Secondo l’editore del «The New Inquiry» le industrie e i governi non trattano i bambini come persone ma come investimenti, macchine produttive e capitale umano. In questa visione l’infanzia non è un tempo per imparare o crescere ma per allenarsi. E fa un esempio molto chiaro riportando il testo di una lettera inviata dal direttore di un asilo di New York ai genitori, una lettera che in sostanza comunica la cancellazione della recita annuale per meglio rispondere alle esigenze e alle sfide del 21 secolo: «Abbiamo la responsabilità di preparare i bambini per il college e la carriera, di attrezzarli con abilità di valore e a lungo termine, renderli dei forti lettori, scrittori, coworker e risolutori di problemi». E alla fine i ragazzi di oggi studiano di più rispetto al passato e arrivano con un bagaglio di conoscenze enorme nel mondo del lavoro per il quale, nella maggior parte dei casi, si sono dovuti indebitare. E una volta entrati lavorano più dei loro predecessori ma presto si accorgono che tutto questo non viene ricompensato, i compensi sono bassi o non adeguati alla posizione che ricoprono. I ragazzi vengono truffati, i loro sforzi e le loro conoscenze non vengono riconosciuti. La sua tesi dunque è semplice: i giovani fanno di più ma ricevono meno in cambio da una società che ha incentivato il loro lavoro con la promessa di un trattamento equo.
Prospettive per il futuro? Malcolm Harris non è particolarmente ottimista, dice «se non saremo fortunati o coraggiosi, guardando in retrospettiva sembrerà che non abbiamo mai avuto la possibilità di scegliere... Ma disponiamo di tutto ciò che è necessario per farcela, sta a noi diventare altro da quello che ci hanno fatto diventare. E magari quello che dovremmo fare, ma non possiamo farlo da soli, è far morire il sogno americano affinché qualcosa di nuovo possa nascere».
Non sorprende che il libro negli Stati Uniti sia al centro dell’attenzione, quella di Malcolm Harris è una lettura libera dai cliché e dai luoghi comuni ai quali finora siamo stati abituati. Così come una ricerca condotta dal Media Insight Project sfata il mito secondo il quale i Millennials non si informano. In realtà il 69% si informa quotidianamente almeno una volta al giorno e lo fa grazie alle notizie che arrivano via social o altri canali digitali.