Di scossone in scossone, le sinistre europee sono entrate in una notte di idee che non accenna a finire. I riformatori sono in grande crisi: Matteo Renzi, ex premier italiano, cerca di trovare una nuova via per rilanciare il Partito democratico, ma ancora pesa la sconfitta referendaria e la consapevolezza che con quel voto l’Italia abbia dimostrato di non avere poi così tanta voglia di cambiamento. In Francia Manuel Valls, ex premier socialista, paga il prezzo di un governo che ha tentato di iniettare energie riformatrici, ma è stato trattenuto – o si è trattenuto – a causa di una continua guerra interna al partito, che lo ha sfibrato nei rapporti e nello slancio. I socialdemocratici tedeschi, che in anni di grande coalizione con i conservatori di Angela Merkel hanno visto erodersi gli spazi di manovra (mangiati dalla stessa cancelliera), cambiano il loro leader ora, e pensano di affidarsi a Martin Schulz, appena tornato da Strasburgo, dopo l’esperienza di presidente del Parlamento europeo.
È presto per dire come questa scelta influenzerà il corso della campagna elettorale tedesca (si vota il 24 settembre), certo è che il profilo di Schulz non è quello di un riformatore. Anzi, volendo azzardare un’analisi, si può dire che con il suo background cosiddetto «popolare», Schulz sia fatto apposta per cercare di fermare l’avanzata del partito anti immigrazione Afd, provando a fare da argine a un’ennesima erosione di consensi nella middle class. Comunque sia, la vena liberale a sinistra non sembra prossima a un risveglio, in Germania.
Bisogna ammettere che fare i liberali oggi è difficile: con la sconfitta di Hillary Clinton negli Stati Uniti e l’uscita di scena di Barack Obama, questa sinistra globalizzatrice è rimasta senza leader. In Europa se si nomina Tony Blair, ex premier inglese testimonial della stagione liberale sul Continente, si finisce per litigare: non lo ama nessuno, Blair. Per la guerra in Iraq, certo, ma anche perché la sua formula ha nel tempo mostrato il fianco a limiti grandi, che hanno determinato la rabbia e il rancore di buona parte della popolazione occidentale. E al momento una riformulazione di una dottrina liberale adatta a questi anni – non più una rivisitazione di ricette degli anni Novanta – non c’è, così senza leader e senza idee si rischia di rituffarsi ancora più indietro, agli anni Sessanta e Settanta, negando gli effetti della globalizzazione.
Il Labour britannico è l’espressione perfetta di questo istinto retrogrado: Jeremy Corbyn non riesce a trovare un modo di fare opposizione nemmeno alla Brexit, che dovrebbe essere piuttosto semplice, basterebbe essere europeisti, ma questo Labour non lo è più così tanto, come non lo era appunto negli anni Sessanta e Settanta. C’è un aneddoto relativo a quegli anni che spiega cosa sta accadendo anche oggi. Nel 1962, l’allora leader del Labour Hugh Gaitskell, durante la conferenza di partito a Brighton, ricevette un applauso enorme alla fine di un discorso in cui disse che l’integrazione europea avrebbe portato «alla fine di migliaia di anni di storia inglese».
La moglie, Dora, si avvicinò al marito durante l’ovazione e gli disse nell’orecchio: «Tesoro, stanno applaudendo tutte le persone sbagliate». Ecco, anche oggi, in questa confusione di applausi e alleanze trasversali, con l’America trumpiana che rifiuta la globalizzazione e si richiude su se stessa, con la Russia che ormai esplicitamente lavora per sovvertire l’ordine liberale europeo, le sinistre d’Europa (anche le destre, ma si vede un po’ meno) restano schiacciate e si affidano a istanze nazionaliste per conservare qualche consenso. Prendono applausi sbagliati.
Anche a livello europeo, dove tutte le contraddizioni esplodono con più rumore, si assiste a spettacoli confusi: Gianni Pittella, leader dei socialisti e dei democratici dell’Unione europea, sta confezionando un piano programmatico contro il cosiddetto «turbocapitalismo» che, come si sa, in Europa non è nemmeno così turbo. I socialisti francesi non sono più convinti che l’accordo commerciale tra Europa e Canada sia così ottimale – e hanno già contribuito ad affossare il Ttip, l’accordo transatlantico di libero scambio tra Ue e Stati Uniti. C’è la tentazione a sinistra di rincorrere il populismo, ma come dice l’innominabile Blair in questa lotta la sinistra non ha chance di battere la destra, soccomberà comunque. In Francia sta accadendo anche qualcosa di diverso: cresce la candidatura di Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia con Valls che ha lanciato lo scorso anno il suo movimento En Marche. Macron non è di destra né di sinistra, è europeista e liberale. Se la sua ascesa dovesse consolidarsi, sarebbe un vantaggio per i moderati e riformatori, ma che le sinistre europee festeggino, beh, questo è piuttosto improbabile.