Anno suggestivo, questo 2018, per i cabalisti e i cultori di numerologia. L’otto, infatti, intriga e fa balenare nella mente chissà quali possibili accidenti. Ma l’otto sollecita anche la ricerca storica. Le date che hanno determinato passaggi d’epoca sono numerose. Converrà ricordarne qui alcune, fondamentali per il nostro passato ma non solo, visto che nessuna svolta o cesura ha avuto una genesi esclusivamente endogena: il 1798 (fine del regime dei baliaggi); 1848 (nascita dello Stato federale), 1918 (fine della guerra, crollo degli imperi centrali, sciopero generale in Svizzera, epidemia influenzale), 1968 (invasione della Cecoslovacchia, moti studenteschi nelle università, assassinio di Martin Luther King e di Bob Kennedy).
L’ultimo anniversario, già si è capito, farà la parte del leone. Le prime esposizioni sono state allestite e inaugurate prima di Natale. A Milano, alla Fabbrica del Vapore, è visitabile fino al 4 aprile «Revolution: musica e ribelli 1966-1970. Dai Beatles a Woodstoock»; a Berna, all’Historisches Museum, è in corso fino al 17 giugno «1968 Die Schweiz», una rassegna più incentrata su percorsi e riflessi nazionali. «Revolution» insiste sulla musica e la moda, e dunque su un Sessantotto declinato soprattutto come fenomeno di costume, come la colonna sonora di una generazione desiderosa di rompere con gli schemi imposti dagli adulti. Gli organizzatori hanno posto l’accento sull’aspetto coreografico, che certo non fu secondario nell’abbigliamento, nelle acconciature (i «capelloni»), nel desiderio di intraprendere nuove esplorazioni culturali ricorrendo alle droghe sintetiche. Era un universo giovanile che si rimetteva in moto, spinto anche dall’incremento dei consumi che il miracolo economico aveva stimolato, nelle case (elettrodomestici) come nei trasporti privati (dalla bicicletta alla lambretta).
La gioventù elvetica non rimase alla finestra. Anch’essa ebbe modo di solidarizzare con gli studenti dei paesi confinanti, con gli oppositori alla guerra del Vietnam e con la protesta dei neri americani. Le testimonianze raccolte nel Museo storico di Berna danno conto di questo intreccio, interno ed esterno, Mao e il «Globuskrawall» di Zurigo, il concerto dei Rolling Stones e l’occupazione dell’aula 20 alla Magistrale di Locarno, le manifestazioni delle femministe e le iniziative antistranieri di Schwarzenbach. Gli episodi plateali rimasero tuttavia circoscritti ai centri urbani e poco numerosi; non vi fu nessun «maggio francese». Questo non significa apatia o inerzia. La protesta assunse la fisionomia di una rivoluzione silenziosa, che investì le relazioni familiari, i partiti, la scuola, la Chiesa, l’esercito. Obiettivo comune era la contestazione del principio di autorità che allora reggeva ogni istituzione. All’indomani nacquero nuovi partiti alla sinistra della socialdemocrazia, come le Organizzazioni progressiste (Poch) e, in Ticino, il Partito socialista autonomo.
Come detto, la macchina celebrativa è già partita. Era prevedibile; dopo tutto il ’68 fu espressione dell’iniziativa di studenti, intellettuali e professori, lavoratori della mente dediti, più degli altri ceti, all’autoriflessione (e spesso all’autocelebrazione). Succede regolarmente di decade in decade, ogni volta con libri, diari, film, mostre, dibattiti radiotelevisivi, confessioni dei «reduci». Resta da capire quale fu la reale portata, le conseguenze (politiche, sociali, culturali) per un paese come la Svizzera, ostile ad ogni accelerazione nel campo dei diritti e della giustizia sociale. Occorsero decenni prima di veder applicate alcune delle rivendicazioni espresse dagli scioperanti nel 1918, tra cui l’assicurazione vecchiaia e superstiti e il suffragio femminile. Quest’ultimo, sul piano federale, fu concesso soltanto nel 1971: ma non è infondato pensare che questa conquista abbia ricevuto dalle mobilitazioni del ’68 un impulso decisivo, almeno negli agglomerati.
I raffronti sul lungo periodo comportano sempre qualche azzardo. Ma in questo caso la tentazione è davvero forte; un confronto tra il 1918 e il 1968, tra lo sciopero generale e il movimento degli studenti, permetterebbe di dare una profondità storica a questi due snodi capitali del nostro Novecento. E di misurare il cammino effettivamente compiuto tra un cinquantennio e l’altro.