Cerberi e ferrovieri in redazione

/ 15.07.2019
di Paolo Di Stefano

Di chi è la celebre frase «I buoni artisti copiano, i grandi rubano»? No, non è di Pablo Picasso. E chi ha detto: «A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina»? No, non è Giulio Andreotti. E lo sapete che Sherlock Holmes non ha mai pronunciato la sentenza per cui è famoso: «Elementare, Watson»? Né una frase del genere uscì mai dalla penna di Arthur Conan Doyle. Vanno riviste un bel po’ di certezze, ragazzi. Ce lo dice Stefano Lorenzetto in Chi (non) l’ha detto. Dizionario delle citazioni sbagliate (5+), appena uscito dall’editore Marsilio.

Lorenzetto è giornalista di lunghissimo corso, nonché collaboratore dello Zingarelli per la segnalazione delle nuove voci e accezioni. «Cinque volte nel Guinness World Records per le sue interviste». Quel che si scopre, sfogliando il suo libro, è che non esistono attribuzioni certe per i motti famosi, perché probabilmente c’è sempre qualcuno che, una frase famosa, l’ha detta prima. «Dio è morto, Marx pure, e anch’io non mi sento molto bene»? Lo sanno tutti, è di Woody Allen. Sbagliato: è di Eugène Ionesco.C’è anche molta aneddotica divertente e istruttiva, che appassiona anche più del «dizionario». L’illustre e venerato fondatore dell’«Espresso» Arrigo Benedetti veniva chiamato il «cerbero» dallo scrittore e critico televisivo Sergio Saviane: «Gli portavi il pezzo, cominciava a leggere, poi incontrava l’avverbio finalmente, lanciava un urlo, “vada a fare il ferroviere!”, appallottolava i fogli e ci saltava sopra con entrambi i piedi».

Non si capisce la ragione di tanta rabbia (3 a Benedetti). È vero che una volta gli errori venivano spesso fermati prima. Giampaolo Pansa ha raccontato a Lorenzetto che alla «Stampa», nel 1960, il direttore Giulio De Benedetti (5) aveva voluto ben cinque filtri di sicurezza per individuare gli strafalcioni o le imprecisioni prima dell’uscita in edicola: l’ultimo filtro era affidato a due redattori in pensione, i quali all’alba avevano il compito di rileggere il giornale da cima a fondo, di correggere e di sottolineare ciò che non andava, infine di preparare un rapportino per il direttore, che alla riunione del mattino distribuiva le sue botte micidiali.

Oggi il cimitero degli errori è sterminato: «un pò» e «qual’è» sono all’ordine del giorno e Lorenzetto, che deve essere un appassionato collezionista di obbrobri, segnala in recenti editoriali un «Matteo Renzi non centra un tubo» e un delizioso «a indotto in errore», per non parlare delle i mancanti nelle prime persone plurali, tipo: «insegnamo». Ma c’è di peggio: «sul seno e sul linguine», «dopo aver tentato un misterioso tentativo di suicidio», eccetera. Ed esilaranti tautologie come: «Muore prima del funerale». Morire dopo, in effetti, sarebbe ancora più crudele…

A volte le trasandatezze stilistiche sono peggio dell’errore. Una marea di stereotipi ci travolge quotidianamente: essere nel mirino di qualcuno; la caccia all’uomo; il traffico che va in tilt; la villetta degli orrori; l’autostrada che diventa un inferno; la tragedia annunciata; il braccio di ferro; l’auto impazzita… Per non dire che il riserbo è sempre necessariamente «rigoroso», l’ottimismo «cauto», il corpo «contundente», i motivi «futili», l’asfalto «viscido», il gesto «folle», la folla «fitta»…Anche il «grande Montanelli» è uno stereotipo. O il Grande Vecchio. Ma pazienza. «Ogni tanto, se mi viene un bell’aforisma, lo metto in conto a Montesquieu o a La Rochefoucauld: non si sono mai lamentati», diceva. L’agiografia non finisce mai.

Raccontò il Grande Vecchio di aver intervistato Hitler il 1° settembre 1939, quando le truppe tedesche occuparono la Polonia. Precisò di avere inviato il pezzo al direttore del «Corriere» Aldo Borelli, aggiungendo però che il clamoroso scoop fu bocciato dal Minculpop, dunque cestinato. Essendo defunti i possibili testimoni, nessuno avrebbe mai più potuto smentire o confermare quel racconto: ma Michele Brambilla, che aveva raccolto tante volte il ricordo di Montanelli, disse che a furia di ripeterlo, il Grande Vecchio (3–) aveva finito per crederci.

Lo scopo di Lorenzetto è più ammirevole: sfatare i miti, smontare i luoghi comuni, segnalare le bufale citazionistiche attraverso ricostruzioni filologiche si massime come «Ubi major, minor cessat», «A ciascuno il suo» eccetera. Chi pensi (i più) che «pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà» si debba a Gramsci, verrà a sapere che prima dell’intellettuale comunista venne lo scrittore francese Romain Rolland. «Eppur si muove!» (riferito alla terra) è una falsa attribuzione settecentesca a Galileo. Franco Basaglia non ha mai pronunciato la frase che passa per essere il suo slogan: «La malattia mentale non esiste». Il celebre proverbio «Chi va con lo zoppo impara a zoppicare» lo possiamo dire a cuor leggero ma dobbiamo tener presente che risale a Pindaro e Plutarco. Ma nessuno è riuscito a capire chi (non) ha inventato queste frasi memorabili: «Chi va col vecchio impara a invecchiare», «Eppur si muore!», «A pensar peccato si fa male», «A nessuno il mio», «Ubi minor, major cessat»…