Bighellonando sul web, o rileggendo lunghi articoli, spesso mi imbatto in frasi che mi colpiscono. Me le segno e le riunisco in una cartella del mio Mac. Alla fine però, il caos del web e il mio disordine patologico si coalizzano per farmi dimenticare riferimenti, date ecc. rendendo abbastanza fatuo, se non proprio inutile questo esercizio. A spingermi a continuare dev’essere il piacere che provo quando mi metto a sbirciare nei lunghissimi elenchi e ritrovo brevi testi, frasi, poesie e altre note che avevo scordato. Un piacere un po’ simile a quello che provavo da bambino rovistando nelle scatole della lana, quelle (solitamente in vimini, cassettine ricoperte di stoffa) in cui, oltre a gomitoli e ferri per i lavori a maglia, nonna e mamma dimenticavano anche caramelle, pizzini, qualche santino ecc.
L’ultimo «appunto» depositato nell’elenco iniziava così: «Dire, come fa “l’Espresso”, “carta vince” è un po’ troppo. Si può dire la carta, rispetto a internet, è come fermarsi oltre che correre, digerire oltre che mangiare, bere acqua oltre che vino, camminare oltre che salire in auto, usare a tavola un po’ di buon pane». È l’avvio usato su «Il Foglio» da Alfonso Berardelli per commentare un articolo che «l’Espresso» aveva dedicato al riproporsi della carta stampata come tecnologia insuperabile del leggere e dello scrivere.
Il duello in atto da ormai due decenni fra carta e digitale, cioè fra giornali e informazione online, torna periodicamente sui giornali, tanto da generare il sospetto che le redazioni decidano di ripresentarlo per cavarne forza e speranze più che per interesse e convinzione, tanto più che i dati riguardanti vendite e lettura di giornali cartacei fanno pensare a situazioni meno tranquille, purtroppo anche in Ticino. Ricordo che già qualche anno fa un documento del «Corriere della Sera» (messo in rete, ma non dalla redazione milanese) annunciava progetti editoriali basati su un quotidiano che avrebbe dovuto avere una foliazione più contenuta nei giorni lavorativi della settimana e, precisava che al lettore non avrebbe più dato tantissime cose «lasciando a lui il peso di scegliere: ha poco tempo da dedicare alla lettura, dobbiamo essere noi a selezionare per lui. L’altra faccia della medaglia di questa scelta è il giornale del fine settimana».
Era già una chiara indicazione che la formula vincente, o perlomeno la piattaforma più sicura su cui idealmente avrebbe potuto posizionarsi il mondo della stampa scritta, era quella di una informazione a due velocità: rapida e consapevolmente «liquida» (nel senso che la si consuma in fretta, idealmente per poter disporre di tutte le carte nella successiva fase di verifica) dal lunedì al venerdì; poi, al sabato e alla domenica, un’informazione basata su tutta una serie di riscontri e di approfondimenti che solo la carta riesce a offrire e a valorizzare e che possono giungere da un giornalismo che fa affidamento su inchieste, lunghe interviste, ricerca grafica e originalità. In estrema sintesi: notizie continue da tv, radio e web, ma solo la carta stampata può garantire chiarezza e ricchezza di nessi argomentativi per interpretarle. Domanda da scettico: se invece di essere noi a cercare le informazioni saranno le informazioni a venire a cercare noi, sentiremo veramente e ancora la necessità di letture di approfondimento durante il fine settimana?
Il «trend» è comunque in atto ormai da anni, con tutta una serie di accorgimenti e varianti, presso le maggiori testate del mondo anglosassone, e inseguito da quasi tutti i maggiori giornali, molti dei quali spinti più da problemi di sopravvivenza che da programmi industriali. Su tutti i progetti continuano a pendere incognite che attenuano le certezze per il futuro, rendono difficili le scelte e originano in continuazione nuovi ostacoli. L’incertezza è in gran parte dovuta al fatto che anche radio, televisioni e media online (e il fatto di trovare editori e redazioni dei grandi giornali su entrambi i fronti non aiuta) si muovono per preservare e, potendo, favorire i propri interessi.
Ci sono poi, da sempre, problemi legati alla migrazione dei volumi pubblicitari, attratti dalle novità e dalle mode del web, ma fondamentalmente indecisi a compiere passi definitivi, anche perché le nuove generazioni hanno sì detto addio a giornali e riviste, ma sono sempre meno attratte dalla pubblicità online. Inoltre negli ultimi mesi i dubbi relativi alle future tecnologie e all’uso degli algoritmi (studiati per conoscere dati ma anche per influenzare comportamenti), stanno spingendo grandi editori a rivedere la loro opposizione ad alleanze con Apple, Facebook o Google, cioè con giganti dell’online smaniosi di diversificare le loro attività sfruttando le immense liquidità e i potentissimi aggregatori di informazioni. A questo punto vien da chiedersi: com’era quel gioco cinese? Carta vince sul sasso, forbice vince...