Joe Biden è il candidato da abbattere, perché è avanti nei sondaggi, perché ha grande esperienza, perché ha un’immagine rassicurante, perché è il punto di rottura del Partito democratico americano. Le elezioni, negli Stati Uniti, sono previste per il novembre del 2020, le primarie inizieranno, come tradizione, nel gennaio del prossimo anno, ma la campagna elettorale è già iniziata, o forse non è mai finita. La sconfitta di Hillary Clinton nel 2016 non è ancora stata digerita: il presidente Donald Trump resta una anomalia alla Casa Bianca, e in questa settimana di commemorazione dello sbarco in Normandia, settantacinque anni fa, abbiamo avuto la conferma che questa anomalia non rimane certo dentro ai confini americani. Eppure un antidoto non è ancora stato trovato, il Partito democratico si dilania su «come si sconfigge Trump?» e si ritrova ancora una volta vulnerabile al fuoco amico. Trump, che quando sente odore di sangue non sa resistere, ha già deciso dove colpire: Joe Biden, l’ex vicepresidente, il volto ragionevole e compassionevole dell’America che fu.
C’è, come sempre con Trump, il lato surreale della faccenda che in questo caso specifico finisce addirittura in un ghirigoro geopolitico quasi comico (peccato che il trumpismo abbia smesso di farci ridere da un bel po’). L’agenzia di stampa della Corea del nord ha pubblicato un retroscena in cui prendeva di mira Biden: ha un quoziente intellettivo basso, s’è addormentato durante un discorso del suo ex capo, Barack Obama, quando era ragazzo copiava a scuola. La dittatura asiatica contro l’America: non è la prima volta, diciamo. Inedita è semmai la reazione di Trump che ha dato ragione alla Corea del nord, prima con un tweet ironico e poi con una dichiarazione davanti ai giornalisti mentre era in visita in Giappone: «Kim Jong Un ha rilasciato una dichiarazione sul fatto che Biden abbia un quoziente intellettivo basso: probabilmente ce l’ha per davvero, se guardiamo a quel che ha fatto.
Sono d’accordo con lui su questo», dove «lui» è il dittatore di Pyongyang, quel leader che Trump non riesce a domare e a obbligare a un accordo sulle armi nucleari e che, così dice un giornale sudcoreano, avrebbe appena fatto ammazzare o mandato in esilio il proprio team di negoziatori (sulla costante violazione dei diritti fondamentali non c’è bisogno di soffermarsi: è nota). In sintesi: il presidente degli Stati Uniti appoggia gli insulti di un governo dittatoriale straniero (la Corea del nord, quella che vuole lanciare missili nucleari sull’America) contro un ex vicepresidente americano e lo fa mentre è di fianco al premier di un paese, il Giappone, che è un alleato strategico degli Stati Uniti. Sì: surreale non rende ancora l’idea.
Trump però non ha intenzione di avvalersi soltanto della propria sfrontatezza per attaccare Biden: ha il fuoco amico dei democratici a propria disposizione. La frattura nella sinistra americana è presto detta: i moderati come Biden da un parte, i radicali come Bernie Sanders o Elizabeth Warren dall’altra. I primi sono percepiti come un retaggio del passato e dell’establishment, un mondo semimorto che nel suo dimenarsi fa danni enormi, come far eleggere Trump. I secondi hanno il vento in poppa del «popolo», dei giovani e della nuova ondata di democratici eletti al Congresso, che spingono per un rinnovamento tutto a sinistra del partito.
I primi attaccano Trump nel merito delle sue proposte e del suo approccio, sono meno propensi a percorrere la strada dell’impeachment (che si interromperebbe al Senato) ma a procedere con le inchieste finanziarie sul presidente. I secondi dicono, come ha fatto di recente la Warren: «Alcuni dicono che se ci calmiamo tutti, i repubblicani diventeranno ragionevoli. Ma il nostro Paese è in crisi, il tempo delle idee piccole è finito». La senatrice non cita Biden ma è come se lo facesse: lei punta dritto alla giugulare del trumpismo e detesta l’approccio moderato e tecnico di Biden. Il problema è centrarla, questa giugulare, perché per ora a sinistra c’è molto vociare scomposto e nulla di concreto. E Trump sente l’odore di sangue, così ha iniziato a dipingere Biden come un globalista per il libero mercato, definizione che fa orrore ai democratici radicali e anche a quell’elettorato americano che ha votato Trump per sentirsi protetto dall’assalto straniero.
Per ora, a vedere i consensi, l’operazione non funziona granché, ma come sanno bene i cacciatori, il tempo non è mai a favore delle prede.