Nell’ambito dei lavori per la formulazione di una strategia del digitale – tema che lo appassiona da mesi – il nostro Consiglio federale ha pubblicato, un paio di settimane fa, un rapporto sulle condizioni-quadro dell’economia digitale. Sono tre gli aspetti importanti discussi in questo rapporto.
Il primo concerne la legislazione. Stando al nostro governo non c’è bisogno di nuove leggi per regolare i problemi posti dall’avvento dell’economia digitale. Questa conclusione non farà piacere ai gruppi che, a protezione dei loro interessi, vorrebbero proprio il contrario. Si tratta, per essere più chiari, dei tassisti, da un lato, e delle associazioni di inquilini e degli albergatori dall’altro. I tassisti perché sono confrontati con la concorrenza di Uber, un’azienda che fornisce un servizio automobilistico privato attraverso un’applicazione software per telefono mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Gli albergatori perché, a loro volta, sono sempre di più minacciati da Airbnb, una società che alloggia i turisti in appartamenti privati, consentendo loro un risparmio sui costi di soggiorno. Siccome però l’appartamento ceduto al turista rende sempre di più di quello affittato a una famiglia residente, in diverse città europee, Airbnb sta facendo concorrenza non solo agli albergatori, ma anche ai residenti in cerca di un appartamento. Le due società sono attive anche in Svizzera e cominciano a creare qualche difficoltà. Tuttavia il Consiglio federale pensa che il quadro legislativo esistente basti per regolare questo tipo di problemi. Il nostro governo è insomma del parere che occorre lasciar fare al mercato e attendere i possibili sviluppi prima di prendere eventuali misure.
La seconda questione è più impegnativa perché riguarda l’evoluzione del mercato del lavoro. Nel corso degli ultimi dieci anni gli studi sul possibile impatto della rivoluzione digitale sull’offerta di posti di lavoro sono stati numerosissimi. Le loro conclusioni però non sono univoche. C’è chi pensa che nei prossimi decenni potrebbero scomparire, anche in Svizzera, più della metà dei posti di lavoro. Altri invece minimizzano la possibile perdita di posti di lavoro e sottolineano invece che il digitale potrebbe creare migliaia di nuovi posti di lavoro. Tra gli ottimisti si trova l’azienda di consulenza Deloitte che, in uno studio del 2015, ha stimato che, in Svizzera, la digitalizzazione farebbe perdere, nei prossimi dieci anni, «solo» 270’000 posti di lavoro, il che rappresenta appena un po’ di più del 5% del totale. Tra il 5 e il 50% di perdite in posti di lavoro il ventaglio di possibili evoluzioni è amplissimo. Si capisce allora perché, anche rispetto a questa questione, il Consiglio federale sia attendista. Secondo lui il mercato del lavoro svizzero è sin qui sempre riuscito a padroneggiare i problemi posti dal cambiamento strutturale. Non si vede perché non debba riuscire anche a superare le sfide che gli saranno posti dalla digitalizzazione. Tre sono le premesse sulle quali si basa il suo ottimismo: la qualità elevata del nostro sistema educativo e di formazione, la relativa flessibilità del mercato del lavoro e il partenariato sociale.
Infine, il terzo argomento del rapporto appena pubblicato concerne i punti sui quali non si è ancora in chiaro e che il Consiglio federale vorrebbe chiarire con mandati esterni entro quest’anno o, al più tardi, l’anno prossimo. Un primo punto riguarda i possibili ostacoli che la legislazione esistente pone alla digitalizzazione. Un secondo punto concerne le possibili conseguenze della digitalizzazione sulla politica dell’educazione e della ricerca. Gli altri tre punti, invece, sono più specifici e si riferiscono a problemi che sorgono nell’uso dell’internet e delle sue piattaforme. In conclusione, di fronte ai problemi che stanno nascendo in seguito alla sempre maggiore diffusione dei processi di digitalizzazione il nostro governo mantiene la calma pur non perdendo di vista gli sviluppi in atto. Dal rapporto appena pubblicato risulta in modo chiaro che Berna non reputa necessario dover intervenire per regolare questo tipo di sviluppi, in particolare perché non pensa che gli stessi avranno conseguenze negative importanti. Per regolarli basta la legislazione in atto. Le loro conseguenze negative potranno essere attenuate dal nostro sistema educativo e dal partenariato sociale. E se questo non bastasse, un mercato del lavoro flessibile come il nostro sarà in grado di gestire facilmente gli adattamenti necessari.
Pur ammettendo che sulle conseguenze possibili dell’evoluzione della digitalizzazione non si debba drammatizzare, a me sembra che non si debba nemmeno minimizzare troppo. Potrebbe però darsi che quello che il Consiglio federale non vuole fare possa, nel prossimo futuro, diventare competenza dei Cantoni, come sembra indicare, almeno nelle intenzioni, il recente rapporto del tavolo di lavoro sull’economia ticinese.