Steve Bannon insegna che fuori dalla Casa Bianca si può essere più influenti che dentro. Certo, stiamo parlando di una versione della Casa Bianca – questa trumpiana – che non ha precedenti storici in termini di improvvisazione, goffaggini e tasso di litigiosità: dentro è difficile resistere a lungo, e ora che il presidente Donald Trump è più nervoso, furioso, irascibile del solito – una «pentola a pressione» – stare lontano diventa sempre più un vantaggio.
Anche se, pure qui, ci sono vari tipi di lontananza: c’è quella siderale del capo del dipartimento di Stato, Rex Tillerson, ancora al suo posto ma avulso da ogni meccanismo di governo, e sì che tra la sempre imminente guerra nucleare con la Corea del nord e le distanze dall’accordo internazionale sull’Iran, il capo della diplomazia americana dovrebbe come minimo dormire sul divano delle studio ovale e non lasciare mai solo il presidente. Poi c’è la lontananza di Steve Bannon, capo della campagna elettorale trumpiana, poi superconsigliere alla Casa Bianca, poi dimesso ad agosto (era stato assunto nell’agosto del 2016, è durato un anno), che ora è tornato a occuparsi del suo primo amore – i media, in particolare Breitbart – e da lì dirige l’ala oltranzista dei trumpiani. Più Trump di Trump, Bannon lo è sempre stato: non è ondivago, non improvvisa, studia, dà forma alla propria ideologia. È credibile insomma. E ha alle spalle i più grandi finanziatori del populismo conservatore, la famiglia Mercer, schiva e potente, che ha contribuito non soltanto alla creazione di Breitbart, ma a molti altri progetti e iniziative che hanno reso il trumpismo presidenziabile.
Ora Bannon ha un progetto politico chiaro: portare candidati trumpiani alle elezioni di mid-term, nell’autunno del 2018. È pronto a tutto, anche a costringere a primarie difficili anche i cosiddetti «incumbent», i senatori e deputati che corrono per il secondo mandato e che per consuetudine fanno primarie che possono soltanto vincere (o, in assenza di oppositori, non le fanno). La strategia di Bannon codifica pubblicamente e senza inutili fronzoli la battaglia cardine del popolo trumpiano: quella contro l’establishment, i meccanismi di rielezione senza intoppi, la facilità del potere. È la battaglia contro il Partito repubblicano, lotta fratricida suprema, che Trump voleva fare ma non ha fatto a sufficienza, secondo Bannon: l’ex stratega non si pone mai in conflitto diretto con il presidente. In tutte le occasioni pubbliche, in tutti i commenti ai media, Bannon ripete di avere stima e fiducia in Trump, secondo alcune indiscrezioni i due non hanno affatto interrotto i rapporti e il presidente continua a rivolgersi al suo ex guru per avere consigli. Ma il problema politico e ideologico è evidente: laddove Trump cerca, pur con metodi non efficaci e nemmeno troppo affidabili, di mantenere il dialogo con il suo partito di riferimento, Bannon ha brutalmente dichiarato guerra all’establishment repubblicano. In Alabama, dove il candidato bannoniano ha battuto il candidato dell’establishment sostenuto anche da Trump, la divergenza è apparsa in tutta la sua chiarezza, e pericolosità. Bannon ha detto, minimizzando, che il presidente deve essere stato «mal consigliato» in Alabama: per l’ex stratega è chiaro che, se Trump avesse capito cosa c’era in gioco, non ci sarebbe stato lo scontro, il presidente si sarebbe allineato sul candidato populista. Ma Trump ha il problema di dover comunque interagire con il Partito repubblicano, altrimenti la sua agenda politica non può avanzare – ha già dovuto ingoiare un triplo fallimento sulla revoca dell’Obamacare, ora ha la riforma fiscale e tutti i dossier di politica estera, da solo non va avanti.
Bannon è libero, e sa come approfittare della libertà. Breitbart potrebbe allargarsi e aprire un canale televisivo: ci sono due progetti alternativi allo studio, uno più «light», che prevede uno streaming interno al sito (è flessibile e poco costoso), e uno industrialmente più rilevante, con un canale dedicato. Inserirsi nella programmazione nazionale sarebbe al contempo un colpaccio e un’impresa, ma anche qui Bannon ha intenzione di inserirsi nella polemica eterna di Trump contro i media: c’è bisogno di un’alternativa, eccola. I fondi non mancherebbero, anche se il più cauto al momento sembra proprio Bannon. Vuole procedere con passo determinato ma senza sbavature: i candidati per costruire un Congresso davvero trumpiano vanno trovati, aiutati, sostenuti. E resta da capire come si gestirà il rapporto con Trump, il quale ammira Bannon ma in generale detesta chi gli si mette in mezzo, figurarsi chi fa Trump più di lui.