Baci per tutti

/ 20.08.2018
di Maria Bettetini

Degli abbracci si era già detto, ormai non si lesinano a nessuno. L’ultimo è arrivato da uno sconosciuto lettore, che in una prima email aveva inveito contro un mio articolo (pubblicato in Italia, tranquilli), definendomi cinica e crudele e salutandomi con un freddo cordialmente. Gli ho risposto, come uso fare, accettando l’invettiva ma anche spiegando le ragioni dell’apparente (secondo me) cinismo. Il lettore si è illuminato, e nella risposta alla risposta mi ha salutato, spero per sempre, con «un abbraccio». Ma su questo non voglio aggiungere altro. Passiamo invece ai parenti stretti degli abbracci, i baci. Nel nord Italia fino a una ventina di anni fa i baci erano riservati a innamorati e mamme, bimbi, nonni. Situazioni particolarmente emozionanti, una gioia, un lutto, un augurio, erano sottolineate da, appunto, abbracci, o anche una mano sulla spalla, o una stretta di mano calorosa, un buffetto.

Al sud, due baci invece non si sono mai negati a nessuno, a tutte le ore del giorno e della notte. Dopo un esame, si baciava anche il professore, tra amiche e amici era l’unica forma di saluto accettabile, prima la guancia destra poi la sinistra, senza fretta. Forse Andreotti, quella volta con Totò Riina, subiva semplicemente la condanna di essere un volto noto, i volti noti venivano baciati perché considerati familiari (ho detto forse, non ne ho la più pallida idea, ma è un’ipotesi anche questa). Se scendevi dal nord, eri un po’ perplesso, ma paese che vai. Oltre le Alpi, che lo dico a fare, i baci sono stati sempre tre, a fugare il sospetto di una freddezza affettiva nordica: in Svizzera, anche in Francia, anche in Olanda, si bacia poco ma per tre volte, destra sinistra destra.

In Germania non ricordo di aver mai percepito il noto schiocco delle labbra da parte di colleghi e amici, ma questa potrebbe essere un’altra storia. Nell’ex-Jugoslavia, per rimanere nel continente, suppongo sia meglio tenersi sempre un po’ a prudente distanza dagli autoctoni. Però ora queste tradizioni stanno cambiando. Partiamo dal sud: è diventato terribilmente cheap dare due baci. Si baciano sempre tutti, ma una volta sola, guancia destra contro guancia destra. Il gesto è denso di significati: mentre ti porgo la guancia espongo il cuore ad essere accoltellato; non occorre la guancia sinistra, tra noi c’è tale intimità che basta un cenno; col bacio dimezzato saluto quasi in contemporanea tutti i presenti, senza la distrazione dovuta allo scuotimento della testa tra una parte e l’altra. Riduco al minimo anche la fatica, dato che col riscaldamento del pianeta i giorni nel meridione sono sempre più spesso funestati da temperature equatoriali. Per tradizione lo sforzo è sempre stato minimale, per dire no basta alzare leggermente il mento, altro che scuotere faticosamente la testa.

Anche il sì è riposante: un battito d’occhi, uno spostamento dello sguardo, se proprio è necessaria la parola «certo», pronunciata senza muovere le labbra. In moto, in bicicletta, non si tendono vanamente le braccia per indicare una direzione, si protende piuttosto il dito indice, non occorre nemmeno raddrizzarlo. Contemporaneamente, quegli sciocchi del nord hanno ereditato il vano affannarsi dei due baci: amici, fratelli, colleghi – che hai sempre salutato con un sano ciao – ti si buttano al collo, anche se vi siete visti da poco, magari la sera prima. Si deve dire che non tutti hanno ceduto, o cedono volentieri, alle mollezze meridionali. Molti rimangono rigidi, spesso le guance non sono nemmeno sfiorate, il bacio è dato all’aria, è più un’esibizione ginnica che un saluto affettuoso. Infatti alcuni hanno bisogno di un sostegno linguistico, riporto espressioni sentite negli ultimi giorni: «e adesso io per salutarla la bacio», «su, baciamoci», «avvicinati che ti saluto per bene», ma anche «non baciamoci che fa caldo», «per carità, stammi lontana che sono appiccicosa». Insomma, l’uomo del nord deve sempre giustificare e rifinire per bene ogni suo gesto.

E pensare che, pur non avendo al momento ancora l’età della pensione, ho fatto in tempo ad essere educata alla riverenza dalla nonna buonanima. Un piede indietro, le mani a reggere l’eventuale abito lungo, le ginocchia leggermente piegate, il capo chino, lo sguardo verso il basso, come una volta doveva essere sempre quello femminile. A un’amica dai grandi occhi azzurri è capitato al Cairo, il tassista l’ha ammonita a non guardare in giro come se niente fosse. Ora la riverenza mi sarebbe utile a corte, dalla regina Elisabetta (che beata lei si può permettere quel tailleur verde squillante con cappellino in tinta), perché mi sa che nonostante il rigido protocollo vaticano, Francesco ricambierebbe i goffi tentativi di riverenza con una bella risata. E poi non mi verrebbe proprio in mente, piuttosto un abbraccio, e non perché adesso usa così. Me ne rendo conto, c’è poca filosofia in questa postilla, ma non voglio affaticare nessuno nel cuore di questo agosto, baciamo le mani.