Aspettando il circo e i clown

/ 23.10.2017
di Ovidio Biffi

Forse è troppo affermare che noi ticinesi abbiamo il circo nel sangue. Al massimo si può arrivare a dire che il circo è una forma di spettacolo che sopravvive bene nella tradizione della nostra gente. Anche perché non è mai mancato qualche artista che nel suo piccolo (magari uscendo dall’accademia Dimitri di Verscio) o nel suo grande (lo stesso Dimitri prima e ora Daniele Finzi Pasca con i suoi circhi «solari») contribuisce a tenere in vita lo spirito che anima l’arte circense. Questo però non è una certezza che tutti abbiano un’idea chiara sull’evoluzione del circo nella storia, siano cioè in grado di capire quanto esso ancora pesi nel bagaglio culturale della nostra gente, in particolare in quello delle nuove generazioni. Il circo in effetti non ha una storia ben documentata, nonostante riferimenti risalenti a oltre 3000 anni fa, con acrobati egiziani intenti a esibirsi davanti al pubblico, immagini poi trovate anche su successivi reperti archeologici greci. Questo perché, fin dall’antichità, è sempre stato difficile distinguere il ludico, cioè il gioco o la competizione, dallo spettacolo. Una difficoltà presente anche nei circhi romani: atleti e artisti vennero man mano sostituiti da lottatori, schiavi, soldati, animali per favorire spettacoli sempre più feroci e cruenti, o monumentali, come le corse di cavalli con le bighe e persino le battaglie navali (con l’acqua del Tevere che veniva deviata nel circo Massimo per consentire combattimenti fra equipaggi di imbarcazioni). Poi sino al Medio Evo sul circo è calato il buio, interrotto solo da frammentarie notizie di spettacoli itineranti portati dall’Asia o collegabili con carovane di zingari.

A far ripartire la storia del circo ci pensò Philip Astley, cavallerizzo che nel XVIII secolo fece una singolare scoperta: riusciva a cavalcare stando in piedi sulla schiena di un cavallo facendolo galoppare in un cerchio e sfruttando le forze centrifughe e centripete. Astley decise di tradurre questa scoperta in rappresentazioni aperte al pubblico nel suo maneggio, con tanto di clown per accompagnare e presentare le sue esibizioni a cavallo. Era l’alba del circo moderno, con spettacoli poco diversi da quelli proposti sino all’inizio del nuovo millennio.

Negli ultimi anni, nella sua forma più tradizionale, il circo ha però incontrato serie difficoltà un po’ ovunque, in particolare in Occidente. Le cause sono molteplici e hanno anche differenti matrici. La più recente e dinamica è legata all’attivismo degli animalisti che non accettano che nei circhi si dia spazio a spettacoli in cui interagiscono animali feroci o esotici (dalle tigri agli elefanti, insomma): a loro parere sono schiavizzati e maltrattati visto che sono costretti a vivere in gabbia, a subire allenamenti e sottoposti a continui e, per loro inutili, spostamenti. Ma c’è anche un’altra crisi, più longeva, iniziata a partire dalla seconda metà del secolo scorso e paradossalmente mascherata da rinascimento e da successo: l’adozione da parte delle catene televisive e l’inserimento in modo sempre più diffuso nei loro palinsesti di spettacoli dei circhi molti famosi con sedi fisse in America e in Asia, ma anche tanti itineranti. Mezzo secolo dopo, per una legge non scritta, ma che fa riferimento ai numeri dell’audience, il circo è oggi considerato televisivamente scaduto: il crepuscolo sui piccoli schermi penalizza l’arte circense e giunge ad accelerare declino e scomparsa.

Ad accelerare il tramonto, negli ultimi decenni, è giunta un’altra negativa componente: l’uso perfido e terrorizzante delle maschere dei clown in letteratura, cinema e cronaca nera, sulla scia di quanto avviene in It, il capolavoro horror di Stephen King per una mini serie televisiva, da cui è ora stato tratto un film «horror». Lo si deduce dalle battaglie legali avviate di recente in Russia (forse negli Usa costano troppo...). I clown della compagnia Komik-Trest hanno chiesto di bandire Pennywise, l’inquietante personaggio di It che commette atrocità su bambini innocenti. Analoga denuncia dalle filiali russe di Burger King: la somiglianza di Pennywise con Roland McDonald, il clown che è storica mascotte della rivale McDonald’s, le ha spinte a chiedere il ritiro dalla circolazione del film. Meno prosaico l’intervento del presidente della WCA, l’associazione mondiale dei clown: in un comunicato – emesso dopo che decine di imitatori notturni sono comparsi, per ora senza compiere atti particolarmente criminosi, nelle grandi città, terrorizzando i passanti – ha accusato Stephen King di aver creato «un personaggio di finzione fantascientifica che non ha nulla a che vedere con noi». La critica è però servita a poco. Anzi: ha spinto King a liquidare la disputa con queste parole: «Mi dispiace; molti sono fantastici, ma i bambini sono sempre stati spaventati dai clown; non uccidete il messaggero per il messaggio!». Come dire: in letteratura e al cinema il clown può fare anche paura.