Aristotele il turco, Agostino l’africano

/ 11.02.2019
di Maria Bettetini

La fortuna del pensiero occidentale è stata avere ottimi migranti. Il primo pensiero va ad Aristotele, nato a Stagira, quindi quasi in Turchia, cresciuto a Pella, alla corte di Filippo II in Macedonia, dove ha avuto il compito di educare e crescere il piccolo Alessandro Magno e i suoi amici, per esempio Efestione. Morto vicino ad Atene, ma in verità in esilio, perché dopo la morte di Alessandro la Grecia guardò con sospetto ogni straniero, e bastava non essere nato a Sparta o Atene per essere ritenuto uno straniero.

Oppure si pensi a Sant’Agostino, nato in Algeria, sui monti dell’Atlante. Studiò a Madaura, a Cartagine (la Tunisi di oggi), poi da buon provinciale pensò di raggiungere successo e denari a Roma e infine a Milano, la sede dell’imperatore. A Roma fallì, perché nonostante la protezione dei Manichei ancora suoi correligionari, otteneva incarichi di insegnamento, ma non veniva mai pagato. Che strano. A Milano le raccomandazioni di Simmaco, retore romano che desiderava fermare il Cristianesimo, gli procurarono il posto di retore imperiale, quello che oggi sarebbe il portavoce del Presidente del Consiglio sommato al ruolo di ministro della cultura, dell’università, della scuola. Ma a quel punto si cacciò da solo nell’avventura della conversione al Cristianesimo, abbandonò l’insegnamento adducendo a scusa un dolore al petto o allo stomaco, e ritornò in Africa, a riparare i danni fatti con i dieci anni di adesione al Manicheismo e a combattere le diverse eresie, e a incitare il popolo africano alla conversione. A dorso di mulo, raramente di cavallo, Agostino vescovo di Ippona pose le basi di molta parte del pensiero «occidentale» frequentando Algeria, Tunisia, Marocco, Libia, le sue terre natali.

Ma torniamo indietro: che cosa sarebbe della nostra cultura senza gli Eleati? Eleati sono i pensatori della scuola di Parmenide a Elea, oggi Ascea, a sud di Napoli. Meridionali, di origine estera, coloni le cui radici erano in Grecia, ancora più a sud di Napoli. Per non dire della scuola pitagorica: se Pitagora è esistito – non si può esserne certi – era nato a Samo, ma presto aveva eretto la sua scuola a Crotone, nel sud del sud della Calabria. Poi lì, forse, aveva esagerato, pretendendo di ottenere un potere anche politico, grazie alla sua sapienza. I locali non gradirono, e assecondando quel caratterino che non perdona e non dimentica, ancora oggi appartenente ai calabresi: bruciarono la scuola con dentro alunni e maestro. Si apre infine la grande vicenda dei testi di Aristotele.

Nessuno ad Atene se ne interessò, i papiri con i suoi appunti (forse ci siamo persi le opere di prima mano, ma già siamo soddisfatti così), le dispense della scuola, quindi, finirono nella cantina di un nipote, che non sapeva che farsene di quei testi. Nel I secolo d.C. ci fu chi li trovò e li catalogò, ma l’Impero romano era troppo occupato a conquistare il mondo per curarsene, e la Grecia era ormai una provincia di quell’Impero. Ultimo tra gli antichi, Severino Boezio si rese conto della grande perdita, nonché della difficoltà di trasmettere opere in greco, in un mondo che parlava a stento lo stesso latino. Cercò quindi di tradurre le opere aristoteliche, ma fu troppo zelante: per farle comprendere meglio, le commentò, e le tradusse più di una volta. Il tempo non gli bastò, non solo perché fu decapitato dal geloso Teodorico nel 525 d.C., ma perché qualunque vita, per quanto lunga e tranquilla, non sarà mai sufficiente a tradurre e commentare tutte le opere dello Stagirita.

Dopo Boezio, il silenzio. Però, proprio un secolo dopo Boezio, nacque l’Islam, nel 622. Non che all’inizio Maometto e Ali si preoccupassero della filosofia. Però, i califfi che seguirono conquistarono molto velocemente le sponde del Mediterraneo, stanco dei rimasugli dell’Impero Romano, delle tasse esagerate richieste da Costantinopoli, delle scorribande di Vandali e Goti. In Siria, gli islamici trovarono le opere di Aristotele, come si è detto i suoi appunti o gli appunti dei suoi allievi, le ritennero interessanti e incominciarono a tradurle in siriaco. Alcune traduzioni furono anche in arabo, nella lingua del Corano. Le scuole di medicina e teologia, come quella del medico Avicenna, o quella, che poi fu proibita, di Averroè a Cordoba, presero possesso del pensiero aristotelico, che dopo il Mille venne ritradotto, paradossalmente, dall’arabo o dal siriaco al latino.

E Aristotele arrivò in Europa, divenne il centro dei dibattiti delle prime università, come quella di Parigi, divenne l’ossatura di grandi costruzioni sistematiche, come la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino, e di tanti altri. Poi la filosofia intraprese anche altre strade. D’altra parte, parliamo del contributo alla storia del pensiero di persone lontane dalla civiltà, arabi, siriani. È giusto che l’Europa si tuteli, non si sa mai che cosa potrebbe arrivare da questi migranti, africani come Agostino o turchi come Aristotele.