La Svizzera (intesa come Svizzera d’oltralpe) si sta allontanando dalla sua periferia meridionale? Oppure avviene il contrario, ossia una Svizzera italiana sempre meno incollata alla parte maggioritaria della Confederazione? Questi gli interrogativi che lo scorso 11 marzo hanno animato una serata pubblica organizzata da Coscienza svizzera allo studio 2 della RSI. Presenti, quali relatori, il geografo Martin Schuler e il sociologo della comunicazione Sébastien Salerno (la registrazione è già disponibile sul sito www.coscienzasvizzera.ch).
Il politologo Oscar Mazzoleni, introducendo i lavori, ha esposto la tesi ispiratrice dell’incontro, ossia che nell’arco transalpino sia in atto una sorta di «rivoluzione silenziosa» che sta scavalcando i confini cantonali, e persino – in determinati campi – la secolare diffidenza-divergenza tra la parte germanofona e la Romandia. Sviluppo economico, crescita dei sistemi di trasporto integrati (autostrade, ferrovie, reti di superficie), disseminazione degli insediamenti hanno dato luogo a macro-regioni con alti tassi di mobilità. È insomma in corso, lungo il Mittelland, dal Lemano al Bodano, un processo di formazione di «poli» dotati di elevato potere magnetico, capaci di assorbire tecnologia, ricerca, istituti superiori, e anche mezzi di comunicazione, dai giornali ai nuovi media.
C’è dunque da preoccuparsi? Il Ticino, in particolare, rischia di scivolare in coda al gruppo, e questo nonostante la ciclopica impresa di AlpTransit? La realtà è più sfaccettata, e come ha spiegato Schuler meno fosca. Il cantone ha perso posizioni nella branca turistica, ma complessivamente la sua economia tiene il passo. Gli ultimi dati raccolti da Bak Economics per conto della Camera di commercio compongono un quadro tutto sommato rassicurante. Osservano gli analisti: «la crisi finanziaria, gli anni ardui per il settore finanziario e bancario, l’abolizione della soglia minima di cambio tra franco ed euro e la crisi turistica non hanno intaccato la progressione economica ticinese, grazie anche al tessuto molto diversificato». Rimane un neo, la bassa produttività, «che risulta migliorabile, come già rilevato lo scorso anno». Detto altrimenti, il Ticino continua a puntare sulla forza-lavoro (di qui l’incremento dell’occupazione) e non ancora a sufficienza sull’automazione.
E allora questa benedetta AlpTransit, dalla quale si attendevano miracoli? Altri studi – come quello allestito da Federica Rossi e Rico Maggi (Zurigo Lugano Milano, 2016) – invitano a non dare per scontato l’automatismo «nuova linea uguale prosperità». I progressi, per il tessuto produttivo ticinese, arriveranno solo quando gli attori economici sapranno elaborare un’adeguata strategia di accompagnamento: «senza una politica di promozione economica mirata, affiancata da una politica territoriale complementare, AlpTransit non permetterà di sfruttare i vantaggi di una migliore accessibilità e rischia di soffrire di alcuni effetti negativi quale un aumento dei prezzi dei terreni, uno sviluppo forte nel settore delle residenze secondarie e un aumento delle disparità regionali».
Nel 1990, presentando lo studio Ticino regione aperta, i curatori (Remigio Ratti, Raffaello Ceschi e Sandro Bianconi) suggerirono uno schema interpretativo suddiviso in tre tappe: un Ticino periferico ed emarginato (grosso modo dal 1848 alla caduta del nazifascismo), un Ticino periferico ma integrato nel contesto elvetico (gli anni della costruzione della rete autostradale, con al centro la galleria del San Gottardo), un Ticino come spazio emergente, anello di congiunzione vitale e propositivo tra l’area zurighese e la popolosa metropoli milanese. La mossa vincente consisteva dunque nel sapersi incuneare tra i due blocchi con modalità non parassitarie, così da attirare sul territorio iniziative provenienti da Nord e da Sud: non solo attività imprenditoriali, ma anche servizi, iter formativi, fondazioni, aziende innovative e agenzie di supporto.
Questo Ticino è effettivamente «emerso» nell’ultimo ventennio, con l’università, le scuole professionali superiori, i centri di ricerca del settore bancario-finanziario, biomedico e farmaceutico. Purtroppo, nel contempo, l’economia lombarda ha bruscamente frenato, creando un gran numero di disoccupati. Chi ha potuto ha cercato scampo oltrefrontiera, nelle industrie, nell’edilizia, negli ospedali e nei commerci, con pesanti contraccolpi in vari ambiti: traffico, mercato del lavoro (pressione sui salari, condizioni d’impiego «all’italiana»), relazioni italo-svizzere (dalle questioni fiscali alle tensioni socio-culturali).
In passato, per molti decenni, l’economia ticinese è rimasta «a rimorchio» (Angelo Rossi), filiale traballante delle centrali d’oltralpe. In seguito è riuscita ad occupare uno spazio suo, a proporsi con uno spirito di «intraprendenza» (Remigio Ratti) puntando sulle tecnologie d’avanguardia e sulla collaborazione con le facoltà scientifiche (ETH e SUPSI). E lungo questa strada bisognerà continuare, perché finora è l’unico percorso che ha dato risultati non aleatori.