La mia radio è fissa su Radio Swiss Pop. Altri canali? Solo allo scoccare delle ore e sino alla fine dei notiziari, quasi sempre per pochi minuti di lettura delle informazioni. Non l’ho mai scritto, ma sono grato alla Ssr per aver creato questa arteria secondaria che consente di aggirare lo snervante cicaleggio che dall’alba al tramonto incombe su Rete 1. La fedeltà a Radio Swiss Pop reca anche altri vantaggi a chi, come il sottoscritto, da anni si trova in colonna tra i pensionati. Oltre alla citata possibilità di by-passare tracotanze, ovviamente c’è la musica. A scelta fra classica, jazz o rigorosamente pop, come ho scelto io. Qualcuno sbarrerà gli occhi o li alzerà verso il cielo! Invece posso garantire che è il massimo per sorprendere figli e nipoti con titoli e citazioni di cantanti che vanno per la maggiore; utile anche per avviare dialoghi sui brani migliori di Bruce Springsteen o dei Depeche Mode; o ancora per evocare quelli più in voga di Ed Sheeran. Tutte credenziali valide per trovare sorrisi sui volti e attenzione nelle menti di chi vive una o due generazioni indietro (o avanti?) rispetto alla vostra. Senza dimenticare l’effetto di una certa dose di empatia, utilissima per cercare di stare vicini a loro e di capire le loro preferenze, i loro riti eccetera.
Ho voluto confessare la fonte da cui assorbo giovinezza non solo musicale, per presentare argomenti che toccano la musica. Innanzitutto una ricerca scientifica condotta dall’Università della California di Irvine (Usa) proprio sulla musica pop. Non si tratta della solita indagine basata su interviste a studenti dei campus universitari o dedotta da sondaggi fra giovani frequentatori di discoteche o utilizzatori di app che offrono musica in streaming. Niente affatto: l’analisi sfocia dall’ascolto di brani e dalla parallela lettura dei testi di canzoni pubblicate negli ultimi tre decenni. Non mille o diecimila, la ricerca ha passato al setaccio mezzo milione di composizioni, edite e diffuse da due case di edizioni musicali tra le maggiori del mondo e targate GB. Seguendo serie basi scientifiche i ricercatori sono giunti a una prima importante scoperta: dai testi delle canzoni pop si evince che la felicità è in ribasso, la giovialità è in calo e la tristezza aumenta. Dalle analisi emerge però anche una grossa contraddizione: i grandi successi sembrano tener alto il tasso di felicità, ma poiché essi rappresentano solo l’1 o il 2% dell’intera produzione, la tendenza a sfornare pezzi sempre più tristi riesce inevitabilmente a prevalere visto che alle spalle ha l’enorme resto di oltre il 97% della produzione di musica pop. Ma non è tutto: la ricerca ha confermato anche il sempre più evidente declino del «rock» e un calo nelle musiche pop delle voci maschili fra i brani di maggior successo, dove a prevalere sono soprattutto donne. Fuori da analisi scientifiche leggendo questi risultati mi sono chiesto: vuoi vedere che la gioia e la voglia di vivere è tutto merito delle voci femminili?
Altro argomento para-musicale che da tempo volevo proporre: il numero straordinario (sono sicuro di non esagerare) di autori e cantanti di canzoni pop svizzeri. Me ne sono accorto continuando a vedere sul display della radio DAB la sigla CH dopo nomi dei cantanti e titoli delle canzoni. La verifica la potete fare sul sito www.radioswisspop.ch/it/programma-musicale, consultando l’elenco dei cantanti e delle cantanti di casa nostra che, senza interruzione da mezzanotte via, presentano i loro brani alternandosi, senza sfigurare, ai big dell’olimpo della musica pop. La presenza massiccia di artisti svizzeri in un panorama così eterogeneo come quello della musica pop desta sorpresa anche perché sull’arco della giornata le presenze di cantanti o complessi CH sono assai più numerose rispetto a quelle di artisti italiani o francesi che resistono soprattutto con qualche cariatide o «evergreen». Definire svizzeri tutti questi artisti è però abbastanza improprio dato che alcuni provengono da etnie diverse e propongono melodie che si rifanno alle loro origini. Inoltre, sempre per quel che riguarda l’impatto culturale, nella stragrande maggioranza dei testi di queste canzoni, domina la lingua inglese (basterebbe citare la produzione dei nostri Gotthard o di Anna Rossinelli) e spesso le lingue nazionali vengono soppiantate anche da dialetti quando i cantanti si avvicinano al genere «folk» o «rap». Ovvio che queste incidenze non bastino – perlomeno a chi scrive – per capire se anche nel pop svizzero stia prevalendo la tristezza. Non credo, a orecchio direi che a dettar legge sia addirittura il romanticismo. Non pensate a un mio azzardo: su La Lettura del Corriere della Sera di inizio mese due pagine c’erano dedicate al romanticismo del rock (heavy metal) degli Iron Maiden...