Una redattrice di «Azione» ha scoperto, fra i cimeli di famiglia in solaio, un vecchio libro che, a prima vista, sembrava meritare il sacco dei rifiuti. Era un volumetto modesto, niente da spartire con un’eventuale rarità da bibliofilo. Ma, vizio del mestiere, per una giornalista ogni carta stampata reca un messaggio, qualunque sia, che può stuzzicare. In questo caso, è il messaggio di un momento spartiacque, di quelli che segnano un prima e un dopo. La pubblicazione, infatti, risale al giugno 1939, tre mesi prima lo scoppio della seconda guerra mondiale. Ne serbo, personalmente, un ricordo, sia pure vago. E quindi, la collega ha passato a me quel libro, contando appunto sulla mia curiosità nei confronti di un’epoca vissuta nell’inconsapevolezza dell’infanzia, e adesso, da riscoprire attraverso una testimonianza, a suo modo curiosa.
Certo, non si tratta di un saggio, con pretese storiche, ma di un manuale pratico, destinato alle donne, e che, involontariamente, doveva assumere, a distanza di tanti decenni, il significato di documento e materia di riflessione. Vi si rispecchia quella che, allora, rappresentava la mentalità corrente, nell’Italia fascista, e non solo lì, a proposito del ruolo femminile, ancorato a un’intoccabile tradizione domestica: considerata a tutto favore della donna. E già vi allude il titolo Scrigno d’oro, (edizioni Mani di fata, altro termine rivelatore) che, appunto, contiene «consigli, segreti, ricette» di cui, spiega l’autrice Vanna Piccini, dovranno fare tesoro «le fanciulle per le quali accasarsi è giungere alla sospirata realtà». Per poi precisare: «Quando una ragazza si fidanza, tutto il suo mondo muta dall’oggi al domani. Vita sportiva, studi, letture, sì cose belle, ma prima c’è la casa cui accudire, i pranzetti gustosi per l’amato sposo». Virtuoso, pure lui: «L’uomo ha subito nel nostro Paese, una radicale trasformazione perché gli è stato inculcato, come dovere e premio, l’onore di possedere una famiglia propria». Sono citazioni che, al di là della facile ironia che possono suscitare, confermano come queste pagine ingiallite abbiano sempre qualcosa da dire.
A questo punto si riapre un interrogativo che assilla gli appassionati di libri, alle prese con il destino da riservare a questi oggetti, diversi da tutti gli altri, quando invecchiano: buttarli, relegarli in uno scantinato, o sugli scaffali più alti dei mobili biblioteca, portarli a un mercatino delle pulci, o, tentare di cederli alle biblioteche istituzionali, ormai sommerse da simili offerte, regalarli ad amici presunti buoni lettori o lasciarli lì, dove sono, e poi si vedrà? Bisogna arrendersi all’evidenza: anche i libri subiscono gli oltraggi del tempo. E persino più in fretta e più rovinosamente dei loro lettori, sia nell’aspetto che nei contenuti: lo constata, con la particolare amarezza di un addetto ai lavori, Alain Claude Sulzer, scrittore affermato e bibliomane confesso. A questi blocchi di fogli, in edizioni rilegate o in brossura, lo lega un vincolo che supera il normale rapporto fruitore-oggetto. Intervistato in proposito, dichiara: «Non solo li leggo, ma vivo con loro». Tanto da partecipare, per così dire, alla loro sorte: ricordandone momenti di fama e poi di oblio. E non nasconde neppure una forma di consumismo irragionevole: quando esce una novità editoriale, deve averla al più presto, per il piacere di procurarsi un volume in abito nuovo, magari la riedizione di un vecchio titolo.
Insomma, si rischia, come capita in molte forme di collezionismo, di passare dal culto alla dipendenza. Alla categoria dei bibliomani appartengono personaggi illustri, per i quali i volumi sono uno strumento al servizio della conoscenza, e basta citare i nomi del Petrarca, di Leopardi, dell’inglese Julian Barnes, e, naturalmente, di Umberto Eco. Quest’ultimo, però, non nascondeva «il piacere di possedere, toccare, annusare» i volumi: in altre parole, subiva l’attrazione feticista per l’oggetto. Un fenomeno che, negli ultimi decenni, è diventato un terreno di ricerche per medici e psicologi: leggere potrebbe avere proprietà terapeutiche, favorire lo sviluppo positivo della personalità. Teoria da prendere con le molle. Hitler, infatti, era stato un assiduo lettore.