Amicizie d’arte

/ 30.04.2018
di Bruno Gambarotta

Si parla tanto di amore e mai della chimica che presiede alla nascita di un’amicizia. L’occasione per parlarne è offerta da una mostra allestita nel palazzo D’Oria a Ciriè, cittadina alle porte di Torino. Fin dal titolo la mostra attrae la nostra attenzione: De Chirico Gazzera Savinio: l’Artistica Amicizia. A Ciriè era nato il personaggio centrale di questa vicenda, Romano Gazzera, conosciuto come «il pittore dei fiori giganti» ma dalla personalità ben più complessa. Tutto ha inizio nei primi anni Trenta. Racconta Gazzera: «Incontrai Giorgio de Chirico alla galleria Il Faro diretta da Virginia Agnelli... era fuggito da Parigi senza un soldo con la nuova compagna Isabella, ricercati e inseguiti dalla prima moglie Raissa... date le loro condizioni economiche precarie invitai la coppia fuggitiva a casa nostra per oltre un mese.... A Torino, in quel mese, de Chirico vendette soltanto due opere, una a mia sorella e l’altra a me». Entrambe sono visibili in questa mostra. Nasce una solida amicizia fra due artisti divisi da venti anni di differenza: Giorgio de Chirico era nato a Volo, in Tessaglia nel 1888, Gazzera a Ciriè nel 1908. Prima smentita all’idea che l’autentica amicizia nasca solo fra coetanei e fra i banchi di scuola.

Lo storico Giovanni De Luna sostiene la tesi, documentandola con esempi concreti, che per comprendere la formazione di gruppi di potere al vertice di aziende, banche o istituzioni pubbliche, si debba osservare con attenzione la foto di classe scattata negli ultimi anni del liceo. Nel caso in esame il rapporto si allarga a tre, inglobando il fratello di de Chirico, nato ad Atene nel 1891, anche lui pittore, oltre che scenografo, scrittore, pianista e compositore, che per differenziarsi assume lo pseudonimo di Alberto Savinio. È la seconda smentita: crediamo che sia impensabile l’amicizia fra artisti in concorrenza fra di loro. Qui il vero collante è il carattere solare e positivo di Gazzera: sicuro della sua vocazione, non sente il bisogno di competere con i colleghi. Scrive Gazzera a de Chirico nel 1941: «Ti confesso, caro Giorgio, che io non so abituarmi a questi combattimenti. Ho sempre considerato l’arte soltanto sotto l’aspetto ideale e non riesco a fare anch’io il mio gioco e il mio calcolo». Però poi accetta di seguire l’amico nell’avventura dell’Antibiennale, allestita nel 1950 nella galleria Bucintoro di Venezia in polemica con il mancato invito alla Biennale. Giorgio de Chirico negli anni Quaranta si era allontanato dalla Metafisica ed era tornato a dipingere secondo la tradizione figurativa italiana.

Questo «ritorno all’ordine» gli aveva chiuso le porte della Biennale attenta solo a celebrare le avanguardie del momento. I quadri di Gazzera sono dipinti con una palese felicità che è premio a se stessa. Gazzera non se la prende se de Chirico tenta di ammaestrarlo, scrivendogli l’8 ottobre 1958: «Ho visto un tuo quadro a Milano, da una signora di cui non ricordo il nome. Era un quadro piuttosto grande, quadrato, con dei fiori giganti; dipinto bene, ma ti consiglio di lasciare queste forme di surrealismo». Immaginiamo il nostro Romano che con una scrollata di spalle, si rimette a dipingere senza mutare stile. Prima di morire, il 20 novembre 1978 a Roma, de Chirico ritrova lo spirito di un tempo e di conseguenza i favori della critica che battezza la sua nuova stagione espressiva con l’etichetta di Neo-metafisica. Perciò patisce che l’amico Romano invada un territorio che ritiene di sua esclusiva pertinenza e il 21 luglio del 1960 gli scrive: «Io sto sempre a rimproverarti quel tuo sacrificarti al Moloch del surrealismo, dipingendo i fiori giganti con lillipuziani giannizzeri ai piedi dello stelo. Se fai qualcosa d’altro mandami una foto della tua recente produzione». Sottinteso: se insisti con i fiori giganti evita di mandarmi le fotografie.

Pare che l’ispirazione di dipingerli sia venuta a Romano Gazzera durante la guerra quando, per sfuggire a un mitragliamento aereo si era buttato faccia a terra in un prato e alzando lo sguardo aveva visto quelle grandi corolle intente a nasconderlo. Trapela anche un atteggiamento protettivo da parte di De Chirico, giustificato dalla differenza di età, con preziosi consigli tecnici sul modo migliore per preparare una tela e segnalazioni in favore dell’amico, come si desume da una cartolina del 3 dicembre 1949: «Ho scritto a Pestelli della Fiat di far fare un quadro anche a te, ma forse te lo hanno già chiesto». Ricordiamo un bellissimo manifesto della 1400 Fiat dipinto da de Chirico. Il terzo lato del triangolo dell’amicizia resta in sottotono anche perché Alberto Savinio muore troppo presto, a Roma, nel 1952. Ripercorrendo l’avventura artistica di Romano Gazzera abbiamo la conferma che se un pittore si limita a dipingere quadri senza farli accompagnare da proclami teorici e battaglieri, non attira da parte della critica l’attenzione che meriterebbe.