All’orizzonte, il sogno cinese

/ 23.10.2017
di Peter Schiesser

Più che una rielezione è un’incoronazione, questa di Xi Jinping quale presidente cinese al 19esimo Congresso del partito comunista, iniziatosi mercoledì scorso. In carica da cinque anni, e almeno per i prossimi cinque, Jinping è oggi il leader indiscusso della Cina, in patria e all’estero gli si riconosce una statura che solo Mao Ze Dong e Deng Xiaoping avevano mostrato prima di lui, il PCC lo sta canonizzando, elevando il suo pensiero a dottrina del partito. In Cina si dice che Mao ha salvato la Cina, Deng l’ha resa ricca, Xi la sta rendendo forte – la premessa migliore per poter annunciare alla Cina e al mondo il «sogno cinese». Ossia, l’ambizione di diventare un paese ricco ma con meno diseguaglianze e più stato di diritto, all’avanguardia nell’innovazione tecnologica, campione dell’economia di mercato e nella protezione del clima, capace di imporre i propri interessi, con un esercito sempre più sofisticato. In altre parole, di diventare la massima potenza al mondo a metà di questo secolo. E sia chiaro: il «sogno cinese» sarà guidato dal partito comunista.

In questi cinque anni, Xi Jinping è riuscito a riprendere le redini di un partito che si stava consumando nella corruzione e nel «lassismo ideologico». La sua arma più potente è stata Wang Qishan, l’inesorabile cacciatore di corrotti che ha avviato un repulisti senza precedenti, servito a Jinping anche per eliminare i concorrenti più pericolosi. Parallelamente, Xi ha rafforzato la disciplina interna al partito, consapevole del fatto che senza l’impegno dei suoi funzionari il sogno cinese resterebbe incompiuto. Ma una Cina che in questo decennio cruciale dipende così tanto da una singola persona, saprà generare una prossima generazione in grado di occupare il posto nella Storia cui il presidente ambisce? Xi Jinping saprà forgiare i prossimi governanti e creare una nuova «dinastia ideologica»? E sarà facile anche in futuro armonizzare il capitalismo con un potere politico assoluto? Da pochi mesi il potere statale fa sentire in modo più accentuato il suo peso anche nelle grandi aziende private cinesi, e questo è un tipo di influsso che può andare contro i principi economici.

Da un osservatorio occidentale non è possibile penetrare a fondo la realtà cinese, ma possiamo vedere quanto la sua forza si riverbera all’estero. A suon di decine di miliardi di dollari vengono comprate aziende internazionali, immobili, acquisito know how; con il progetto della nuova Via della seta, che coinvolgerà 65 paesi, vi saranno investimenti per centinaia di miliardi per creare una rete capillare per i commerci del futuro; ma già oggi la Cina è presente con suoi progetti infrastrutturali in tutti i continenti, la sua sete di materie prime la spinge a farsi largo ovunque. E quindi: la Cina sarà un gigante gentile, come promette Xi Jinping, o una minaccia, per noi occidentali?

È molto probabile che nel 2050 la Cina divenga la potenza dominante. Anche perché gli unici che potrebbero impedirlo, gli Stati Uniti, non hanno oggi un presidente in grado di contenere strategicamente il colosso asiatico, e mostrano inquietanti segni di decadimento sociale: l’America profonda oggi sta vivendo una tragica ed epidemica dipendenza da oppiacei – proprio come avvenne nella fase finale della dinastia Ming, la cui decadenza venne suggellata dalle due guerre dell’oppio perse contro la Gran Bretagna (1839-1842, 1856-1860). In nome della libertà di commercio, Londra impose di poter continuare a vendere oppio (che produceva in India) in una Cina in cui tanti abitanti già non potevano più fare a meno di questa droga. Ma oggi da quel sonno dell’oppio la Cina risorge con un sogno di potenza.