Quanto è coraggioso Emmanuel Macron, mormorano nei palazzi europei diplomatici e leader politici, con qualche sospiro e un pizzico di invidia, dopo aver visto il neopresidente francese all’opera sulla scena internazionale. Al G7 di Taormina le strette di mano lunghe e forzute «per dare un messaggio» e le chiacchiere strette con la cancelliere tedesca Angela Merkel; a Versailles le discussioni «franche» con Vladimir Putin. La conferenza stampa con il presidente russo, attorno la meraviglia dell’ex palazzo reale, andrebbe vista e rivista e studiata perché era davvero tanto tempo che non ci si trovava di fronte a una scena così: molto dialogo, molta collaborazione, ma anche molta schiettezza. Macron, con di fianco Putin, ha detto che RT e Sputnik non sono organi di informazione ma organi «d’influenza», è propaganda non altro, e come tale va considerata. Putin abbassava gli occhi e sistemava l’auricolare della traduzione, e per un attimo si è temuto che si spazientisse troppo, ma poi ha deciso di rispondere soltanto alle domande che gli interessavano, e anche quando Macron ha detto che in Siria il regime non deve più usare le armi chimiche altrimenti la reazione militare francese sarà «immediata», Putin ha scelto di non ribattere.
Macron si è intestato la battaglia neoeuropeista durante la campagna elettorale per l’Eliseo e ora non ha alcuna intenzione di abbandonarla, anzi si sente rafforzato dalla Germania e dalla Merkel che dopo il G7 ha detto: non si può fare affidamento sull’America di Donald Trump e sul Regno Unito che corre verso la Brexit, «prendiamo in mano il nostro destino». Questo destino Macron lo deve costruire anche nella sua Francia, perché ora arrivano le legislative – primo turno l’11 giugno, secondo il 18 – che sono il momento in cui l’azzardo macroniano vuole prendere una forma istituzionale. Per realizzare la «rivoluzione» che il presidente francese ha messo come titolo del suo libro-manifesto, è necessario che gli equilibri all’Assemblea nazionale vadano nella sua direzione. Ci sono state molte coabitazioni nella storia francese, ma l’esito spesso è stato più di stasi che di cambiamento, e la staticità non è nelle corde del nuovo inquilino dell’Eliseo (né serve alla Francia). Secondo un ultimo sondaggio pubblicato la settimana scorsa il partito del presidente, République En Marche (Rem), potrebbe ottenere la maggioranza assoluta, che è naturalmente lo scenario perfetto per Macron. Se così fosse, significherebbe che il progetto post sinistra-destra e di attrazione delle forze moderate di qualsivoglia provenienza starebbe funzionando alla grande – nella Francia che ha flirtato con il declinismo, poi. A sinistra, la lotta fratricida era già iniziata per le presidenziali e non si è fermata, anche se la sconfitta disastrosa del Partito socialista ha convinto molti candidati locali a passare con i Rem, che al momento garantiscono ben più sicurezza del partito tradizionale della sinistra.
A destra il tormento è ancora in corso: si pensava che i Républicains fossero ben saldi per le legislative, essendo di fatto l’unico partito ancora in vita (fuori dal ballottaggio presidenziale, certo, ma comunque non annientato) con una buona presenza territoriale. Ma lo scossone dei Rem risuona forte anche qui, e i Républicains sono molto divisi e molto litigiosi: c’è chi vuole andare con Macron (fare l’alleanza al secondo turno) e partecipare alla sua rivoluzione, come già avviene nel governo dove il premier e il ministro dell’Economia, tra gli altri, vengono dalla destra. C’è chi vuole resistere e fare opposizione e non mischiarsi con l’ibrido che vuole costruire il presidente: finiremmo per prendere soltanto ordini senza avere voce in capitolo, dicono i sostenitori della resistenza. Ma i numeri al momento dicono che il rischio di una non-alleanza è forte.
Nella cavalcata macroniana l’unico neo è costituito dal suo stesso governo, che si è ispirato a un’interpretazione molto ampia della «ouverture» ma che sta mostrando qualche pecca su uno dei fronti cui Macron tiene di più: la moralizzazione. Costruendo En Marche!, il presidente ha fatto sempre presente che la selezione «etica» dei candidati era al primo posto per lui, e avendo come avversario François Fillon e i suoi scandali il suo messaggio risuonava molto più forte. Ma ora due suoi ministri, di cui uno è un collaboratore strettissimo del presidente, sono già dentro a scandali di favoritismi e assegni parlamentari, e i media si stanno accanendo non poco: vogliamo vedere adesso, caro presidente, quanto è forte e indipendente il tuo senso per l’etica.