Alba la salvatrice

/ 09.07.2018
di Bruno Gambarotta

San Giovanni Battista è il patrono della città di Torino e in occasione dei festeggiamenti, la sera del 24 giugno, si svolgeva una parata di fuochi artificiali. Da tempo immemorabile, finché, a partire da quest’anno i fuochi sono stati sostituiti da uno spettacolo di droni che nel cielo disegnavano con raggi laser colorati varie figure simboliche. L’eclisse dei fuochi ha generato in molti nostalgici il desiderio di rievocare gli spettacoli del passato. Memorabili per me furono quelli sparati in piazza Vittorio Veneto, la più grande della città, al termine del lancio di un nuovo modello della Fiat. Una piazza gremita fin dalle 2 del pomeriggio da 100mila persone in febbrile attesa di Fiorello, al culmine della sua popolarità, che però sarebbe arrivato solo verso sera. Con una formidabile Alba Parietti chiamata a domare la folla, lanciando gli ospiti: «Ed ecco a voi Bruno Gambarotta che vi farà divertire con le storie della sua infanzia astigiana. Mi accoglie un ruggito rabbioso, urlano in coro «Fiorello! Fiorello!», mostrandomi, se ancora avessi qualche dubbio, il pugno chiuso con il dito medio alzato. Avanzo fino al proscenio, cerco di non guardare verso il basso, inizio con dei racconti che forse andrebbero bene in un salotto davanti a quattro gatti bendisposti: «Avete mai dormito sopra un materasso pieno di foglie di granoturco scricchiolanti? Avete mai portato al pascolo un maiale?». Urla rabbiose arrivano in risposta. Alba mi viene in soccorso lanciando Giorgio Conte e la sua chitarra. La musica di Giorgio sembra ammansire le belve. Andrà avanti così per tutto il pomeriggio, fino all’arrivo di Fiorello.

Vederlo in azione è uno spettacolo nello spettacolo, fin dall’inizio prende in pugno la situazione, le belve feroci diventano docili agnellini. Fiorello li fa cantare tutti, dividendoli in gruppi con ampi gesti delle braccia, degni di un dittatore; quelli alla sua destra canteranno una strofa e quelli alla sua sinistra un’altra. Perché nessuno mi ha detto che per tenerli buoni sarebbe bastato invitarli a cantare? Non era la prima volta, già in un’altra occasione la generosa Alba era venuta in mio soccorso. Il 24 gennaio 2003 è un sabato. I primi notiziari radiofonici aprono con la notizia della morte dell’avvocato Gianni Agnelli. Poco dopo squilla il mio telefono di casa, da Roma chiama Maurizio Costanzo: «Questa sera in prima serata su Canale 5 faremo uno speciale sull’avvocato Agnelli. Ti chiedo di suggerirmi dei torinesi da invitare come ospiti». Lusingato, inizio a snocciolare i primi nomi che mi vengono in mente. E ogni volta da Roma rispondono: l’ha già preso Bruno Vespa che farà uno speciale «Porta a porta» su Rai 1.

Alla fine tiro fuori dal cappello Alba Parietti dicendo: «Suo padre lavorava come operaio alla Fiat». Sono sorpresi, è un dettaglio che ignoravano ma sono contenti: «Chiamala e dille che vi mandiamo a prendere nel pomeriggio all’aeroporto di Caselle». Telefono alla ragazza e lei mi gela: «Mio padre ha lavorato come dirigente in una società telefonica e non ha mai avuto rapporti con la Fiat». Mi ero confuso, era Rita Pavone che aveva avuto il padre operaio Fiat, ma Rita vive in Svizzera e non saprei come rintracciarla. Chiamo Roma per smontare l’operazione ma è troppo tardi, la macchina organizzativa si è già messa in moto. Alba, cuor d’oro, per salvarmi, accetta la proposta di fare l’ospite, purché non le chiedano di parlare di suo padre. Sull’aereo salirà anche Giorgietto Giuggiaro, il designer che iniziò come allievo Fiat. Nello studio di Cinecittà troveremo anche Diego Novelli, sindaco di Torino dal 1975 al 1985 e il giornalista Carlo Rossella. Il cielo è limpido e l’aria tersa, il panorama dal finestrino è una meraviglia. In prossimità dell’aeroporto di Ciampino il piccolo aereo, abbassandosi, è sbatacchiato da un vento fortissimo. Alba è tranquilla, si limita a dire: «Speriamo di non cadere. Se moriamo oggi non ci si fila nessuno». «Hai ragione, domani i quotidiani saranno occupati a celebrare Agnelli. Però qualche commentatore potrebbe paragonarci a Stalin e a Prokofiev.

Joseph Vissarionovich Džugašvili detto Stalin morì il 5 marzo 1953 per emorragia cerebrale. Con la medesima diagnosi, nello stesso giorno, a distanza di poche ore, morì il grande e sfortunato musicista Sergei Prokofiev, sempre a Mosca, in un appartamento distante poche centinaia di metri dal Cremlino dove si era spento «il faro dell’umanità» (così titolava «L’Unità» il giorno seguente). Le migliaia di moscoviti in coda per rendere onore al piccolo Padre bloccarono per giorni l’accesso alla casa del musicista. Le autorità sovietiche imposero di dare notizia della morte di Prokofiev solo una settimana dopo». Alba mi è stata a sentire: «D’accordo, però io faccio la parte di Stalin». Per la cronaca, il piccolo aereo è poi felicemente atterrato.