Ad essere blue si impara

/ 22.01.2018
di Maria Bettetini

Con lo sguardo rassegnato, insieme ad altri compagni di sventura, attendo di poter espletare le pratiche necessarie per un esame medico di routine. Si sente nell’aria la stessa allegria che doveva esserci sulla riva dell’Acheronte, quando Dante vide le anime dei dannati aspettare il loro turno per essere traghettati davanti a quel pezzo di pane di Minosse, il giudice che «stavvi orribilmente, e ringhia». Nella grande sala d’aspetto, alcuni schermi svolgono la duplice funzione di chiamare i numeri dei fortunati che possono espletare e insieme di intrattenere con le notizie del giorno coloro che ancora attendono la barca di Caronte.

Apprendiamo così, con misurato sconcerto, che quel giorno, il 15 gennaio, era il Blue Monday, ossia «il giorno più triste dell’anno». Un toccasana per le decine di azzoppati, influenzati, sciancati che stanno trascorrendo nelle sale d’attesa dell’ospedale la loro giornata: non si perdono nulla, tanto è già il giorno più triste. Nessuno sembra particolarmente rallegrato dopo aver appreso di essere nel bel mezzo di una giornata blue, che a ben vedere significa «malinconica» più che triste. Forse consideravano di aver già avuto abbastanza della loro parte di blue trovandosi in ospedale, fuori un plumbeo cielo di gennaio, ed era pure un lunedì. Pare infatti che questi siano alcuni degli elementi che hanno dato la vittoria del blue day al terzo lunedì di gennaio. Gli altri sarebbero la lontananza da feste passate e future, la mancanza di denari del dopo-feste, l’impressione di aver già fallito nel perseguimento dei buoni propositi per l’anno nuovo. Vogliamo aggiungere un’influenzetta? Qualche nuovo chilo non ancora smaltito? Non occorreva essere in ospedale il 15 gennaio per avere in corpo delle sensazioni non proprio gradevoli. Sì, d’accordo, ma perché festeggiare questo bello stato di cose con un giorno dedicato? Perché accanirsi, fustigarsi, appesantirsi? Non ci sono ingiustizie da colmare, come quando si ricordano martiri ed eroi nei vari giorni della memoria. Non ci sono persone da festeggiare, come nella giornata dedicata ai nonni o agli innamorati, o ai single (è il 15 febbraio, Santi Faustino e Giovita, il giorno dopo San Valentino).

E poi, perché insistere sulle malinconie di gennaio, e invece non proporre la festa dei crochi e dei bucaneve, della polenta col gorgonzola, dei piumoni coi copripiumoni colorati: tutte realtà che richiamano gennaio, sono alla portata di tutti, non creano sgradevoli differenze. Perché si potrebbe anche festeggiare la giornata del salto con gli sci dal trampolino, o delle vacanze alle Maldive, o del fuoco nel camino dello chalet, ma non tutti possono saltare con gli sci, non tutti possiedono chalet e vanno in mari così scomodi da raggiungere. Il croco e il bucaneve, invece, chi non ne ha mai visti, la bancarella qui in piazza li espone già da un po’. Dicono che sia tutta una questione di soldi, come sempre. Che uno psicologo di un’università inglese abbia ricevuto l’incarico di scoprire quando il mondo è più malinconico per poter lanciare in quel momento le campagne pubblicitarie di viaggi esotici. Che con un algoritmo (?) costui abbia deciso che per l’emisfero boreale il giorno più triste dell’anno è il terzo lunedì di gennaio. Le agenzie di viaggi forse hanno incrementato lanci pubblicitari e vendite, suscitando invidia negli altri commercianti, che hanno quindi diffuso la «festa» del blue day, nella speranza un domani di vendere caramelle blu, fiori blu, occhiali scuri per mascherare la tristezza, antidepressivi, alcolici, dolciumi, tutto ciò che possa aiutare a scacciare la malinconia, ben sapendo che, per almeno metà degli abitanti dell’emisfero del nord del mondo, la miglior terapia è lo shopping, capace di cancellare con un sol colpo di carta di credito ogni ombra dal volto delle eventuali vittime del blue day.

E pensare che la malinconia nasce come segno di grandezza d’animo. Secondo Oscar Wilde, si impara a essere malinconici, infatti l’umanità tutta è in grado di farlo solo dopo che Shakespeare le ha regalato il primo e più grande uomo blue, Amleto. In verità un secolo prima Albrecht Dürer aveva inciso Melancholia I (non so perché I, se non per far produrre ai posteri numerose Melancholia II), il ritratto di un bellissimo angelo circondato da simboli matematici e alchemici, nonché da strumenti di lavoro inutilizzati, perché l’uomo blue sa molto, soffre molto, non agisce per niente. Insomma, l’uomo malinconico se lo deve poter permettere, di sapere, soffrire e non agire, non deve avere preoccupazioni economiche e nemmeno di famiglia o di salute, tolte le manifestazioni di ipocondria proprie degli uomini tristi (forse per questo i dannati dell’Acheronte nella sala d’aspetto non erano particolarmente turbati dal blue day, avevano altro per la testa). Crochi e bucaneve?