Accordo Svizzera-UE: qualcosa si muove

/ 11.03.2019
di Peter Schiesser

Vista la conclamata opposizione da parte dell’UDC, dei sindacati di sinistra e del Partito socialista svizzero, l’accordo istituzionale negoziato con Bruxelles pareva morto ancora prima che la consultazione sui generis avesse luogo. Invece, negli ultimi giorni, a consultazione ancora aperta, qualcosa sta cambiando: il Partito socialista ha modificato la sua posizione. Se ancora in dicembre il presidente Christian Levrat aveva dichiarato che il PS è contrario all’accordo istituzionale negoziato poiché prevede un indebolimento della protezione salariale (ciò che avrebbe imposto di rinegoziare con Bruxelles), oggi dichiara che il Partito socialista vuole un accordo istituzionale con l’Unione europea ma allo stesso tempo anche la protezione salariale. 

Non è solo una sottigliezza semantica, è un cambiamento di rotta e al contempo il tentativo di non perdere credibilità: apre la porta alla possibilità di garantire l’attuale protezione salariale chiedendo precisazioni e ottenendo rassicurazioni da Bruxelles (visto che l’accordo non si può rinegoziare, come ripete da mesi la Commissione europea), oppure con misure di politica interna (che non potranno però essere in contrasto con il diritto dell’Unione europea). 

Ma come mai questo cambiamento di rotta di Levrat, condiviso dall’assemblea dei delegati? In questi mesi l’ala liberale del PS è silenziosamente insorta contro l’appiattimento del partito sulle posizioni sindacali, di totale chiusura verso l’accordo istituzionale negoziato con Bruxelles. Forse la concomitanza con un calo nei sondaggi (si vota per le elezioni federali in ottobre) e con il passaggio ai Verdi liberali della ex consigliera nazionale zurighese Chantal Galladé, delusa dalla posizione non più abbastanza europeista del PS, ha giocato un certo ruolo, ma senz’altro il cambiamento di rotta è segno che all’interno del Partito socialista svizzero l’ala pragmatica ha ritrovato un suo peso.

Non tutti, infatti, sposano la linea secondo cui l’accordo istituzionale porti davvero con sé un indebolimento della protezione salariale per il fatto che non sia più previsto un preavviso di 8 giorni ma solo di 4 per le ditte dell’Ue che inviano personale distaccato in Svizzera e perché non varrebbe più l’obbligo di cauzione generalizzato per queste ditte, bensì solo per quelle che in passato hanno compiuto irregolarità. Considerato che l’anno scorso l’Unione europea ha adottato nel suo quadro giuridico il principio «stesso salario per stesso lavoro», riconoscendo il diritto ai paesi membri (e alla Svizzera) di lottare contro il dumping salariale con degli adeguati controlli, secondo l’ala più pragmatica del PS la modifica delle misure di accompagnamento contenuta nell’accordo negoziato è da ritenere più formale che sostanziale. Tanto più che, secondo il parere giuridico del professor Philipp Zurkinden e di Bernhard Lautenburg (richiesto dal PS), la regola degli 8 giorni e l’obbligo generalizzato di chiedere una cauzione alle ditte dell’Ue sarebbe già oggi in contrasto con il diritto europeo sulla libera circolazione delle persone. Questo significa che se la Svizzera non dovesse accettare l’accordo istituzionale negoziato con Bruxelles potrebbe in futuro essere comunque obbligata a rinunciare a quanto concesso finora dalla Commissione europea. 

Il PS passa dunque assieme al PLR, al PPD, a Economiesuisse nel campo di chi dice «sì, ma» (ossia di chi chiede precisazioni, chiarimenti, modifiche, non solo su questioni salariali), lasciando l’UDC e l’associazione dei contadini sul fronte del no. Attenzione, però: una lunga serie di «sì, ma» alla fine può equivalere ad un no se la lista delle richieste si allunga a dismisura. A questo punto, l’accordo istituzionale può essere salvato solo se il Consiglio federale lo difende a spada tratta e riesce a convincere i sindacati di sinistra che si farà di tutto per la protezione salariale – insomma, se il Consiglio federale assume finalmente quel ruolo di guida che gli spetta. La protezione salariale non è l’unico nodo di questo accordo istituzionale, il governo sarà quindi chiamato a fornire risposte chiare su una ampia serie di temi.