A Campione «rien ne va plus»

/ 17.09.2018
di Orazio Martinetti

«È giunta mezzanotte / Si spengono i rumori, / Si spegne anche l’insegna / Di quell’ultimo caffè / Le strade son deserte / Deserte e silenziose...» Si rimane colpiti, anzi sbalorditi, dalla parabola di Campione. Un borgo cresciuto sotto le ali di una casa da gioco ch’era diventata sinonimo di cornucopia; una gonfia mammella che nutriva una numerosa cucciolata con stipendi invidiabili, dal semplice usciere allo stuolo dei dirigenti. Spettacoli e fuochi d’artificio per tutti, e gratis.

Sembrava intramontabile questa fortuna dell’enclave, un po’ svizzera e un po’ italiana, un minuscolo emirato lacuale legato a doppio filo con il comune, generatore di posti di lavoro e di prebende.

Improvvisamente il castello è franato, al sogno è subentrato l’incubo: crollo degli introiti, aumento dei debiti, bancarotta, disoccupazione, futuro nerissimo.

Al centro, cattedrale ormai deserta, è rimasto il Casinò, una ciste abnorme, costata il doppio di quanto messo a preventivo. Ad osservarlo dal basso sembra la poppa di un transatlantico incagliatosi nella montagna. Luci spente, porte sbarrate, qua e là i primi segni dell’incuria. Da rutilante mecca del divertimento a relitto sanatoriale di un’epoca al tramonto. Atmosfera simile nel contiguo municipio: anche qui la sventura si è abbattuta su un’ottantina di impiegati comunali.

Spesso ci siamo chiesti, osservando l’andirivieni della clientela, non tutta straricca, che tipo di società fosse nata all’ombra del Casinò, con quale dotazione di modelli, mentalità, cultura, valori. Si poteva considerare una comunità del genere, che viveva soprattutto di notte, una comunità moralmente sana? Le indagini che ogni tanto la magistratura italiana avviava lasciavano intravedere un sottobosco fatto di riciclaggio e traffici illeciti. E pensare che qualche decennio fa la febbre del gioco d’azzardo aveva reso euforici un po’ tutti a meridione delle Alpi, non solo Lugano, Locarno e Mendrisio, ma anche Chiasso e Bellinzona. Fortunatamente qualcuno si avvide per tempo del pericolo e si pose un limite.

L’appello delle maestranze campionesi prima alla Regione Lombardia e poi alle autorità centrali romane non ha finora trovato ascolto. Al governo giallo-verde (Lega+Cinque Stelle) – che tra l’altro, attraverso il Decreto Dignità, intende combattere la ludopatia – il destino di Campione non sembra importare gran che, ben altri sono infatti i grattacapi che lo tormentano.

Vie d’uscita dal vicolo cieco? C’è chi pensa ad un centro commerciale, ad una clinica specializzata, ad una residenza di lusso per anziani facoltosi. Ad ogni modo prima bisognerà appianare il debito accumulato. E poi, ammesso che sia possibile, provvedere a riqualificare il personale, orientarlo verso nuovi profili professionali. Insomma, un bel busillis.

A dire il vero un’alternativa – ma qui siamo nel campo della fantapolitica – ci sarebbe: annettere l’enclave al canton Ticino. Non una spedizione militare analoga a quella intrapresa da Gabriele D’Annunzio nel 1919 nei confronti di Fiume, ma un’incorporazione politica pacifica, fondata sul consenso di entrambe le parti. Allora il Vate, alla testa dei suoi legionari, fu scacciato dalla città adriatica per opera della stessa marina italiana, dato che l’occupazione contrastava con gli accordi fissati nel Trattato di Rapallo; ma questa volta la protesta di Roma non arriverebbe, o sarebbe soltanto tiepida... Un fastidio in meno.

Fantasie dannunziane a parte, questa amara vicenda insegna che un territorio, un distretto, una città non dovrebbero mai puntare l’intera posta su un’unica attività economica, mai rimanere prigionieri di una mono-cultura. La crescita ipertrofica di un settore a scapito degli altri genera fatalmente squilibri che, al primo mutar di vento, finiscono per trascinare tutti nel burrone. A Campione è andata così. Con la roulette si è arricchita, con la roulette è rotolata nel Ceresio. Legare la propria sorte al gioco d’azzardo è sempre un rischio... e non è una battuta.