500, che nostalgia!

/ 21.08.2017
di Bruno Gambarotta

Un soprassalto di memoria involontaria è l’effetto indotto dalla copertina dell’ultimo numero di «Illustrato», il ricco House Organ della FCA, con l’immagine della mia 500 rossa. È vero, volendo essere pignoli, l’auto qui ha la targa FO 400440 mentre la mia era TO e non ricordo più che numero. Ma è in tutto e per tutto la mia, con il paraurti cromato e il tetto apribile. La copertina lancia il servizio sviluppato nelle pagine interne: la 500 compie 60 anni! È nata il 4 luglio 1957, dalla mente e dalla matita di un uomo tanto geniale quanto modesto, Dante Giacosa. Ora si mobilitano in 5000 per disegnare e progettare una nuova auto ma nessuno riuscirà più a realizzare qualcosa di simile a quel gioiello. Non basta, dopo avere coinvolto così tanti esperti, i progettisti finiscono per affidare il disegno del profilo dell’auto ai computer, che danno sempre la medesima risposta ottimale, sicché da questo punto di vista le auto si somigliano tutte.

Ho collaborato in un ruolo marginale alla mostra celebrativa dei 100 anni della Fiat, nel 1999. Durante una riunione organizzativa alla quale erano presenti i grandi capi della produzione automobilistica mi sono fatto coraggio e ho domandato: «Perché non provate a rifare la 500? I collezionisti, specie i giapponesi, fanno follie per trovare un esemplare ancora funzionante». La risposta è stata lapidaria: «Non è possibile. Con gli attuali sistemi produttivi e la sempre più elevata automazione, un esemplare di 500 verrebbe a costare uno sproposito». Conosco l’obiezione: quella 500 era l’icona dei nostri vent’anni che noi ora, attraverso di essa, rimpiangiamo. Vi ricordate? Il motore posteriore e sospeso mandava rassicuranti vibrazioni e ci sembrava di pilotare un reattore. Per scalare dalla terza alla seconda marcia era necessario fare la doppietta, andare in folle e dare un colpetto di acceleratore prima di ingranare la seconda, una soddisfazione che nessun cambio automatico sarà mai in grado di darci. Ti faceva sentire un pilota di formula Uno e la tentazione di tagliare le curve in salita sui tornanti era irresistibile.

Non c’erano tante autostrade in quegli anni. Quante multe sul Bracco! Fino a quando ho potuto ho conservato sulla patente la mia fotografia in divisa da sottotenente dell’esercito e un paio di volte è servita a farmi amnistiare da agenti rispettosi di una presunta autorità. Restituendomi la patente accennavano persino a un saluto militare. Tornavo da San Remo con un collega cameraman e dopo aver tagliato l’ennesima curva della val Roja siamo finiti in bocca alla pattuglia della Polstrada. Era il 16 agosto, la sera prima avevamo preso parte alle riprese di un incontro di boxe allo stadio. Alfredo, il mio collega, ha tirato fuori il tesserino della Rai spiegando che stavamo portando di corsa la bobina con la registrazione dell’incontro che doveva andare in onda dalla sede di Torino. Con una 500! Ci hanno creduto o hanno fatto finta. Nel 1966, dopo esserci sposati a Torino, con mia moglie siamo partiti per Roma, dove avevamo casa, viaggiando con armi e bagagli nella 500 rossa per 14 ore.

Non sono l’unico a provare nostalgia per quell’auto, come un rabdomante trovo dappertutto le sue tracce. Per esempio in un romanzo francese fra i più belli e coinvolgenti che mi sia capitato di leggere di recente, Il nascondiglio di Christophe Boltanski, edito da Sellerio, storia della sua famiglia di ebrei originari di Odessa e residenti a Parigi, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Nato nel 1962, l’autore la ricorda così: la 500 «somigliava a una boccia di pesci rossi, a un sottomarino tascabile, a un ufo, e io, in quanto passeggero, a un marziano catapultato nel suo paese d’origine (...) I francesi l’avevano soprannominata “il vasetto di yogurt”. Il pianale rasentava il suolo, la lamiera era sottile come un foglio di carta. (...) Rannicchiato in posizione fetale all’interno di quel cassone ovoidale, in quell’utero su ruote guidato da mia nonna, ero esposto agli sguardi degli altri e stranamente invisibile nel tumulto cittadino». A ogni Natale regalo a tutti, parenti e amici, lo stesso libro, incurante del fatto che alcuni non coltivino il vizio di leggere. Ho deciso che il mio regalo delle prossime festività sarà questo stupendo romanzo famigliare raccontato stanza per stanza, a cominciare dall’auto parcheggiata in cortile. «La Fiat Cinquecento costituisce la prima stanza della casa di rue de Grenelle, il suo prolungamento, il boccaporto, la parte mobile, la camera fuori le mura, i suoi occhi, il suo bulbo oculare. Al pari di un focolare, rappresenta un universo finito, rotondo, liscio, caldo e rassicurante come un angolo del camino. Più che un mezzo di locomozione, è a suo modo un habitat (...)». Il prossimo 9 settembre, al festival di Mantova, dialogherò in pubblico con l’autore. Sarà per me l’occasione di dirgli grazie.