Martedì 12 dicembre scorso si è tenuta alla Biblioteca cantonale di Lugano la cerimonia di assegnazione del Premio Migros Ticino 2017 per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana. Il premio è stato consegnato alla studiosa da Francesca Lepori Colombo, vicepresidente del Consiglio di amministrazione di Migros Ticino e Carlo Agliati, Presidente della Commissione del Premio Migros Ticino. Erano presenti per l’occasione anche Carlo Bertelli, storico dell’arte, professore emerito dell’Università di Losanna e Serena Romano, storica dell’arte, professoressa dell’Università di Losanna e relatrice del lavoro. Il saggio di Irene Quadri è stato infatti presentato nel 2016 quale lavoro di dottorato all’Università di Losanna.
Nella stessa occasione è stata assegnata inoltre una menzione onorevole allo storico Manolo Pellegrini per la ricerca inedita intitolata L’azione dell’élite politica della Svizzera sud alpina nell’epoca dell’Elvetica e della Mediazione (1798-1814), anch’essa frutto di una tesi di dottorato discussa all’Università di Losanna quest’anno.
La cerimonia, moderata da Stefano Vassere, direttore della Biblioteca cantonale di Lugano, ha permesso al pubblico di conoscere un lavoro di ricerca interessante e affascinante che permette di riscoprire alcuni capolavori della storia dell’arte del nostro cantone e di metterli nel contesto di un movimento artistico più ampio che ha interessato la cultura di quel periodo.
Intervista a Irene Quadri
Dottoressa Quadri, dove nasce il suo interesse per un momento così particolare della storia dell’arte ticinese?
Nasce dall’incontro tra la mia passione per l’arte medievale, in particolare quella per i secoli XI e XIII, accesasi al primo anno di Università grazie all’incontro con insegnanti straordinari che mi hanno spalancato le porte di un mondo, e un desiderio in qualche modo autobiografico, dettato dalla voglia di approfondire la conoscenza della storia del territorio nel quale sono nata e cresciuta. Per il periodo in questione, infatti, il repertorio pittorico ticinese offre una grande ricchezza e varietà di materiali che, però, nel loro insieme sono stati poco considerati dalla storiografia artistica, soprattutto da quella recente: si tratta, quindi, di un interesse spontaneo che si è manifestato in maniera del tutto naturale.
Uno dei capitoli del suo libro ha un titolo molto significativo: «Una periferia centrale». Può spiegarci il senso di questo apparente paradosso?
All’epoca medievale le terre che compongono l’attuale Canton Ticino costituivano la propaggine estrema delle vaste circoscrizioni delle diocesi e delle città di Como e Milano: la loro distanza da questi due centri le poneva quindi in posizione periferica, per lungo tempo considerata causa di arretratezza culturale. Ma tale condizione di confine era in parte compensata dalla loro collocazione a ridosso delle Alpi che ne faceva un «corridoio» attraversato da alcune importanti vie di comunicazione che collegavano il Nord al Sud delle Alpi, molto ambito dalle diverse forze politiche che hanno segnato la storia della regione di questi secoli; per le strade con le persone circolavano idee, opere e oggetti. L’apparente paradosso vuole quindi mettere in evidenza come la configurazione politica e territoriale non basti a rendere conto del ruolo avuto dall’odierno Canton Ticino nella storia dell’epoca: altri parametri per così dire congeniti – le Alpi – hanno avuto un impatto determinante e sono essenziali alla comprensione della sua geografia artistica e dei meccanismi che l’hanno informata.
Nel suo libro quindi il Ticino di quel periodo viene visto come regione aperta sul mondo, che intrattiene relazioni anche con zone lontane dell’Europa. È una sorpresa?
No, non è una sorpresa. È un dato che possiamo dire assodato, emerso anche dagli studi precedenti che però, per la maggior parte, si sono concentrati sullo studio di singoli episodi. Sulla stregua di quanto già fatto da Virgilio Gilardoni nel suo Il Romanico, l’obiettivo della mia ricerca è stato quello di inserire la produzione pittorica dell’intero territorio ticinese all’interno della cultura artistica dell’epoca, aggiornando la bibliografia, gli strumenti e il metodo di lavoro. Ciò ha permesso di costruire una visione d’insieme inedita che ha non solo confermato, ma reso ancora più limpido ed evidente il legame di certe testimonianze ticinesi con l’arte di regioni anche distanti. D’altronde, per la sua posizione di crocevia tra il Nord e il Sud delle Alpi, la Lombardia medievale ha spesso giocato un ruolo di catalizzatore artistico.
Il suo lavoro che è andato ad indagare testimonianze frammentarie, nascoste, di dimensioni anche minute. È la prima volta che si studiano in modo così sistematico?
No, l’arte medievale ticinese è stata oggetto di analisi di pochi, ma fondamentali studiosi tra i quali meritano una menzione particolare il padre della storia dell’arte svizzera, Johann Rudolf Rahn e, di nuovo, Virgilio Gilardoni. Abbiamo a che fare, però, con opere ormai datate che non contemplano le numerose acquisizioni e scoperte degli ultimi 50 anni: la loro integrazione nel discorso storico-artistico ha permesso di acquisire nuovi e importanti dati e di allargare la conoscenza dell’orizzonte artistico ticinese e quindi anche di quello lombardo, fornendo così una visione d’insieme sostanzialmente rinnovata.
Una curiosità: leggendo i ringraziamenti che aprono il suo libro pare di capire che lei abbia coinvolto nella ricerca anche i suoi famigliari… è una passione di famiglia quella dell’arte antica?
L’arte è sicuramente una passione di famiglia e fin da piccola ho avuto la fortuna di potermi avvicinare a questo universo che mi ha a poco a poco riempito gli occhi. L’interesse per l’arte medievale, quella cosiddetta romanica in particolare, l’ho ereditata dalla mia mamma con la quale ho visitato tanti dei monumenti ticinesi e lombardi che compongono il mio lavoro.