Pratica, sana e facile da digerire: nel regno dei frutti la banana è regina. A lei sono dedicate canzoni e in inglese è parte di espressioni comuni, come «they go bananas», detto di qualcuno che perde la testa. Eppure l’origine di questa bontà esotica è spesso ignorata.
Per farsi un’idea di come si svolge la messa in opera del progetto pilota del WWF nelle aziende che coltivano le banane vendute da Migros, una delegazione svizzera ha partecipato a una visita in Colombia a suoi fornitori. Un viaggio per un progetto a forte valenza simbolica, al quale, oltre ai responsabili prodotto e sostenibilità, ha partecipato anche Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros. Dopo aver sorvolato le piantagioni di banane, l’aereo atterra a Santa Marta. Da qui un minibus porta i visitatori alla Finca Samy, che malgrado i suoi 700 ettari, pari a un centinaio di campi di calcio, è una piccola piantagione. Nel Paese la banana è una fonte importate di impiego.
Il frutto giallo è il preferito dalla clientela Migros, l’articolo più venduto del settore. La sua immagine è però spesso offuscata da condizioni di produzione problematiche. Per questo motivo Migros, nell’ambito di Generazione M, si è impegnata affinché entro la fine del 2017 tutte le banane vendute nei suoi negozi soddisfino standard ecologici e sociali ancora più severi, anche per quelle che non sono coltivate secondo le direttive bio o Max Havelaar. Da qui la collaborazione con il WWF, che ha messo a punto 300 misure da applicare durante i processi di produzione, trasformazione e trasporto.
L’iniziativa raggruppa 32 bananeti della Colombia e dell’Ecuador, già in precedenza certificati Rainforest Alliance. Il marchio garantisce che le aziende non contribuiscono al disboscamento della foresta e che rispettano le esigenze ecologiche, economiche e sociali per un’agricoltura sostenibile fissate dal Sustainable Agriculture Network. Nel quadro di un processo di monitoraggio tra i più rigorosi, le aziende beneficiano di supporto permanente da parte di specialisti del WWF per consulenza e sostegno nell’attuazione graduale delle 300 misure supplementari. Queste comprendono la protezione della fauna e della flora, la proibizione di utilizzo di prodotti fitosanitari classificati come pericolosi dall’OMS, mentre per i lavoratori condizioni di lavoro che tutelano salute e sicurezza, così come controlli sanitari.
Giunti alla Finca i viaggiatori ricevono stivali, visto che nella piantagione ci sono serpenti, e spray antizanzare. Il gruppo si mette quindi in cammino nel bananeto su piccoli sentieri. Dei nastri colorati indicano l’età dei diversi arbusti, alti fra i 3 e i 5 metri: a venti settimane producono un grosso fiore rosso da cui si sviluppano i frutti, le banane, che vengono anche chiamate «dita». Ci vogliono dalle dieci alle venti dita per formare una mano. Un’infruttescenza produce più mani e può pesare oltre 40 chili. Le banane crescono inizialmente verso il basso, poi si girano per cercare la luce. Da qui la loro caratteristica forma. Una guaina in plastica protegge i frutti da insetti e intemperie. Maturano in dodici settimane e a partire dalla decima lo spessore delle dita viene regolarmente misurato. Un’ordinanza fissa infatti con precisione le dimensioni che deve avere la banana ideale, ciò che determina la data della raccolta, tra la trentunesima e la trentatreesima settimana.
Carlos Ariza, Jaime Salas e Yeis Zarate mostrano le fasi del raccolto. Carlos si arrampica su una piccola scala e stacca il casco di banane aiutandosi con un coltello. Lo fa quindi scivolare delicatamente a terra, verso i colleghi. Jaime e Yeis inseriscono delle protezioni in plastica tra i frutti e attaccano il pesante casco a una sbarra, per portarlo al punto di carico più vicino. Una volta, raccontano, erano loro a trasportare a spalla i pesanti caschi fino alla postazione di lavaggio, mentre oggi possono contare su una sorta di teleferica destinata allo scopo. Armati di machete i tre tagliano quindi il banano, che fiorisce un’unica volta, lasciando le sue foglie a terra, come ingrasso naturale. Non resta che un piccolo germoglio, che darà vita a una nuova pianta. Nel frattempo le banane sono state separate dal loro gambo e immerse nell’acqua. Nella nuova zona per la raccolta dei rifiuti, la plastica che ha finora protetto i frutti viene depositata in appositi contenitori, per essere riciclata. Anche l’acqua usata per il bagno delle banane viene riutilizzata all’80 percento: dopo essere stata filtrata per eliminare il latice rilasciato dai frutti viene infatti nuovamente pompata nei bacini di lavaggio. In questo modo l’acqua che nel passato si utilizzava in una giornata è ora più che sufficiente per oltre una settimana.
Gli impiegati incaricati dell’imballaggio dei frutti li etichettano con i codici Migros che garantiscono la tracciabilità. Il tutto viene poi impacchettato non in casse di cartone, bensì in recipienti di plastica appositamente progettati per Migros. Di fatto, grazie a un ciclo chiuso che prevede il ritorno via nave dei contenitori in plastica, Migros risparmia più di un milione di cartoni, ciò che comporta la riduzione di oltre due terzi delle emissioni di CO2.
Partite da Santa Marta le banane Cavendish, ancora verdi, viaggiano per tredici giorni fino a giungere al porto di Anversa, in Belgio. Da lì proseguono via treno verso le sedi delle cooperative regionali Migros a Ginevra, Gossau, Lucerna e Schönbühl, che dispongono di apposite celle di maturazione per le banane, che avviene in un tempo compreso tra i quattro e i sette giorni. I frutti giungono infine nei negozi Migros.
Un dettaglio curioso: malgrado i chilometri percorsi, un cliente che si reca in una filiale Migros in auto emette in media più CO2 per banana di quanto ne comporti l’intero viaggio Colombia-Europa in nave.