Il Ticino ha ottenuto di poter prolungare la sua finestra di crisi di una settimana rispetto al resto della Svizzera, tanti degli interrogativi su come evitare il contagio con il Covid-19 nella vita quotidiana (sul posto di lavoro, a scuola, nei luoghi pubblici) restano senza risposte chiare o definitive e molto va ancora preparato per creare una nuova normalità. Ma si percepisce che qualcosa sta cambiando, c’è la sensazione che il peggio è passato, l’appello a stare a casa non è stato ritirato, ma è innegabile che ci stiamo a poco a poco riabituando ad uscire di casa. Ora, prendendo a prestito le parole del medico Andrea Badaracco (CdT 23 aprile 2020), «diventa più importante capire il come uscire di casa in questa nuova situazione. Il come fare diventa più utile del paralizzante non fare».
Ci vuole un altro tipo di forza per superare una paralisi rispetto a quella per accettarla. Una miscela di cautela, coraggio, ottimismo. Devono però esserci le condizioni esterne che ci garantiscano più sicurezza possibile. Alcune le creiamo noi, rispettando le raccomandazioni federali sulla distanza sociale e sull’igiene, altre sono frutto degli sforzi compiuti nell’intero tessuto economico-produttivo e nel settore dei trasporti, dove si studiano piani di lavoro e di usufrutto che rispettino le norme di base (distanza e igiene). Lasciando alle imprese il compito di definire nel concreto i relativi piani di sicurezza (devono poi comunque essere convalidati dalle autorità), il Consiglio federale e i Cantoni danno prova di un comprovato pragmatismo elvetico: le soluzioni non si calano dall’alto, si creano di concerto con chi vive la realtà delle imprese. In questo modo, il Governo federale evita pure di prendere decisioni eccessivamente controverse. Come quella sulle mascherine.
Usarle o no? Sono utili o meno? Nel piano pandemico della Confederazione erano previste, gli stock però non erano stati creati. Se è vero che si può trasmettere il virus anche nei due giorni precedenti la manifestazione della malattia non è sufficiente che la porti solo chi ha già i sintomi; d’altro canto può dare una falsa sicurezza se non la si pone e maneggia nel modo corretto. Ora, pur mantenendo il parere che non servono alle persone sane, il Consiglio federale lascia in pratica alla cittadinanza la scelta se portarle o meno e alle varie categorie professionali la necessità di prevederle laddove non può essere mantenuta la distanza necessaria fra una persona e l’altra, come dal parrucchiere, dal dentista e dove si lavora a stretto contatto. Ci sono realtà che lo permettono abbastanza facilmente, altre che restano nodi da sciogliere: come gestire i mezzi pubblici quando si tornerà tutti al lavoro? Ci metteremo tutti la mascherina? Bisogna prima di tutto averle, ed è per questo che il Consiglio federale ne ha (infine) fatte acquistare 100 milioni in aprile (la maggior parte deve ancora essere fornita) e da oggi verranno vendute anche al pubblico, dapprima attraverso i grandi dettaglianti, cui l’esercito ne fornirà per due settimane un milione al giorno.
Ci sono invece altre realtà in cui queste condizioni di sicurezza non possono essere garantite. Le grandi manifestazioni previste nei prossimi mesi, sportive e culturali, sono destinate ad essere cancellate – anche se il Consiglio federale non ha ancora preso una decisione formale, lasciando nell’incertezza gli organizzatori.
E poi c’è l'incognita scuola. Impossibile pretendere che bambini e ragazzi portino la mascherina ed evitino contatti fisici. Che cosa significherà per le famiglie e per i docenti? Ancora non sappiamo che tipo di ritorno a scuola sarà, ma di certo non sarà privo di rischi.